Un’indagine promossa dal Comitato Vivere Zona 2 e dalla Casa della Cultura Islamica racconta di una realtà un po’ diversa da quella che si legge sui giornali

In collaborazione con la Casa della Cultura Islamica di via Padova 144, il Comitato Vivere Zona 2 ha presentato una ricerca dettagliata e ricca di dati che è solo un assaggio di un convegno più approfondito che si terrà il prossimo 7 maggio.
Non che la zona non sia problematica: negli ultimi anni ha subito una profonda trasformazione del tessuto sia urbanistico che sociale.
Se negli anni ‘50 oltre la ferrovia c’erano ancora tanti orti, campi e poche case, e negli anni ’60 hanno iniziato a costruire palazzi e ad arrivare i primi immigrati dal Sud Italia, adesso la zona vanta la concentrazione di residenti stranieri più alta della città: secondo le statistiche del Comune di Milano al 31/12/2007, gli immigrati residenti in Zona 2 con regolare permesso di soggiorno sono 27.527 su un totale di 165.925 (cifre che in un anno sono senz’altro aumentate).
I giornali ne parlano spesso come terra di nessuno, luogo di spaccio e degrado, casbah di Milano, dove alle otto di sera scatta il coprifuoco. Insomma, da buona città internazionale quale aspira ad essere, Milano sembra avere il suo Bronx.
Peccato che la realtà, a guardarla un po’ più da vicino, non sia esattamente solo questa: il processo di integrazione è lungo e difficile, ancor più dove i cambiamenti sono avvenuti in fretta e non coadiuvati da adeguate politiche di accoglienza e integrazione culturale.
Eppure lì, su un territorio che potrebbe servire da laboratorio sulla coabitazione delle culture, ci sono molte piccole realtà e associazioni che si danno da fare per far sì che l’integrazione sia un dato di fatto e non una bandiera ideologica: una di queste è appunto la Casa della Cultura islamica ( ascolta l’intervista al Presidente Asfa Mamoud), che collabora col Comitato Vivere Zona 2 per la realizzazione di iniziative che favoriscano l’incontro e la socializzazione tra le diverse etnie presenti sul territorio.
Un territorio che, come emerge dai dati raccolti, è in continua trasformazione e lontano da una stabilizzazione dei flussi migratori.
Se la percentuale media di alunni immigrati frequentanti le scuole dell’infanzia in Zona 2 è del 31,9% sul totale, la media milanese è del 14, 38%. Anche le scuole primarie e secondarie si attestano su percentuali del 23 e 27%, mentre è ancora più significativo che all’asilo nido di via Padova su 75 bimbi 38 sono stranieri.
Una situazione complessiva in cui su 19 scuole della zona, 10 registrano oltre il 30% di iscritti immigrati, e molte addirittura più del 40%, col rischio che si crei una frattura tra le scuole meno frequentate dagli stranieri e cosiddette scuole-ghetto. Di fronte a dati così rilevanti s’imporrebbe un’assunzione di responsabilità da parte delle istituzioni, oltre che una politica efficace anche nella scelta dei docenti, che dovrebbero essere preparati per affrontare classi dalla composizione etnica così eterogenea, anche in considerazione del fatto che non tutti i bimbi nascono in Italia e hanno padronanza della lingua italiana.
Per quanto riguarda invece i dati sugli esercizi commerciali, a differenza di quello che si potrebbe pensare camminando lungo via Padova, delle 438 attività presenti lungo i tre chilometri e mezzo della via solo 101 sono gestite da immigrati.
“Non è vero che la via commercialmente è in mano agli stranieri come è stato scritto più volte dai giornali” rivendica Carlo Bonaconsa del Comitato Vivere Zona 2.
A quanto risulta dalla ricerca, gli italiani gestiscono completamente la banche, i servizi che offrono mutui e finanziamenti, panifici e pasticcerie, i negozi di arredamento e ferramenta, oltre a tintorie, tabaccherie, farmacie, benzinai e officine meccaniche. Mentre, come forse è noto, gli immigrati gestiscono per lo più piccoli market, macellerie, phone center, money transfert, manutenzione cellulari e ristoranti/kebab. Le uniche attività gestite da immigrati e rivolte ad un’utenza non etnica sono quelle gestite dai cinesi, che rappresentano più del 50% delle attività gestite da immigrati nella via.
Dati che mettono in luce una realtà particolare spesso guardata con superficialità, dove convivono un numero incredibile (caso unico a Milano) di popolazioni diverse: una zona, una via, che potrebbe costituire una risorsa positiva e territorio di sperimentazione di un cambiamento che col tempo si estenderà inevitabilmente anche al resto della città. Un territorio che per sviluppare però il suo potenziale positivo ha bisogno di una politica di sostegno alle situazioni di disagio, ai contesti abitativi, alla creazione di spazi pubblici di incontro e centri culturali, insomma di tutto quello che un’amministrazione dovrebbe fare in materia di mediazione culturale.
Antiniska Pozzi