Le radici antiche, tra deperimento dello spazio pubblico e politiche securitarie, delle emergenze di oggi
Flashback: agosto 2010, i fari delle cronache locali illuminano il Corvetto. Nella fame di notizie del mese vacanzierio per eccellenza, l'ennesima rissa con contorno di arresti e aggressione agli agenti della polizia municipale si guadagna colonne e colonne sulle pagine dei giornali. In quell'occasione oltre che sulle intimidazioni, sugli agguati per il controllo delle piazze di spaccio e sui legami tra criminalità micro e macro, l'attenzione dei cronisti si sofferma anche sul degrado degli alloggi popolari e sul racket delle occupazioni: il lauto mercato gestito da clan, italiani o stranieri, che occupa e riaffitta senza fare domande o guardare al passaporto gli appartamenti gestiti -si fa per dire- da Aler. |
L'atlante dell'abbandono era peraltro incompleto non comprendendo altre aree ad alto tasso di disagio e altrettanto elevato potenziale -come si è visto nei mesi scorsi o in questi giorni- di conflitto, come il Calvairate o il Giambellino, eppure tracciava il quadro di una città che si stava letteralmente frantumando.
Il quadro che usciva dalle pagine delle cronache agostane di quattro anni fa rappresentava lo stadio intermedio della crisi conclamata di oggi, moltiplicata negli effetti e nella disperazione dalla crisi. Allora era il risultato di un decennio del cocktail fatto di rinuncia ideologica alle politiche di inclusione e investimento sull'ossessione securitaria. Nel ribaltamento attuato nella ricerca del consenso a mezzo di paura,il disagio sociale e il degrado -dovuto alla semplice malagestione o alla deliberata scelta di farne l'arena della disperazione- si erano da tempo trasformati da prioritari ambiti di intervento delle politiche sociali attraverso l'investimento di risorse pubbliche in propellente per le emergenze e il consenso futuri.
L'eredità malata di quel capovolgimento è sotto i nostri occhi. Le parole d'ordine muscolari e facili di chi oggi vuole sgomberi a tappeto, facendo finta di non sapere che in questo modo non vi sarà mai soluzione ad un emergenza che invece si perpetuerà sempre utile, soffiano sulle braci di un tessuto civile sempre più sfilacciato fornendo alimento alla reazione chimica (fino a quando controllabile?) che trasforma i tanti disagi personali nella massa lanciata alla ricerca del capro espiatorio.