La fotografia sulla generazione di giovani-adulti a Milano nell'ultimo rapporto della fondazione Ambrosianeum

Il motivo dell'attenzione è presto detto. La difficoltà a caratterizzare questa fascia della popolazione (non solo a Milano, ma anche in tutta Italia), si percepisce nella miriade di definizioni che negli ultimi tempi sono state attribuite ai trentenni: “adulti giovani, generazione x, generazione perduta, generazione bloccata, generazione 1000 euro, fino all'ultimo nomignolo di choosy, (schizzinosi)”, si ricorda nel rapporto.
Lo spaccato anagrafico e lavorativo della fascia che va dai trenta ai quarant'anni non è dei migliori, pur in un'età che porta quasi sempre ad una 'sistemazione' definitiva della vita. Tra i maschi, nella fascia dai 25 ai 34 anni il tasso di attività, ovvero la disponibilità ad un lavoro o ad un'attività di studio, è calato di 5 punti negli anni della crisi, dal 2008 ad oggi, mentre il calo è stato di tre punti nella fascia tra i 35 e i 44 anni. Oggi, ad essere 'attivi' sono il 90% dei 25-34enni e quasi il 95% della classe appena più adulta. Vanno meglio le donne, per l'83% all'interno della popolazione attiva tra i 25 e i 44 anni, con una crescita di ben tre punti solo nel 2012. A livello occupazionale, si è passati dall'85% di impiegati tra i 25 e i 34 anni nel 2008 al 78% del 2012, mentre nella fascia più vicina ai quaranta si è passati da una quasi piena occupazione nel 2008 a una media dell'83% di oggi.
Difficoltà che (al di là di quanto contano i costumi e le trasformazioni sociali) pesano forse anche nella costruzione di una famiglia. A Milano, infatti, ci si sposa in media tre anni più tardi che nel resto d'Italia, così come quella del primo figlio per le donne: gli uomini arrivano a sposarsi in media a 36 anni, le donne a 34, la stessa età del primo figlio.
Eppure, a guardare i dati relativi agli stranieri Milano è comunque una città che offre possibilità, tanto che il tasso di inattività degli immigrati è 'solo' del 10%, al di sotto quindi di quello degli italiani, mentre sembra che le imprese straniere resistano più a lungo.
Il cortocircuito tra una città comunque ricca in termini di possibilità lavorative, ma molto esigente per chi vi abita si legge però tutto nella condizione abitativa. Nelle interviste condotte a 231 trentenni milanesi, a fronte del 45% che ha già una famiglia propria e del 20% che vive da solo, ben uno su tre vive ancora con la propria famiglia d'origine, o insieme ad altri amici o inquilini. In genere, a fronte di dati del Comune di Milano che nel 2011 rilevavano come il 45% dei trentenni vivesse in famiglie mononucleari, la convinzione diffusa è che a Milano la “socialità spontanea” sia molto rara.
Anche dal punto di vista professionale la situazione è frastagliata, con circa il 30% che si è spostato in Italia o all'estero per lavoro, uno su cinque che guadagna tra 0 e 1000 euro al mese, spesso a rischio di perdere il lavoro, e il gruppo più numeroso, quasi il 40% del totale, precario o con tutte le difficoltà del lavoro autonomo.
Una città esigente e difficile, quindi. Anche se gli autori del rapporto si rifiutano di parlare di generazione perduta. Mentre le politiche di sostegno ai giovani e di incentivazione all'entrata nel mercato del lavoro si fermano ai 35 anni, “bisogna ragionare in termini dinamici, di potenzialità, e non per fasce d'età, come fossero dei compartimenti stagni”, ha esortato la sociologa Rosangela Lodigiani, curatrice del rapporto. “Perché, ha osservato, se non preoccupa nessuno che un giovane a trent'anni non abbia ancora una vita autonoma, il problema c'è sicuramente, invece, se non la si ha a 40”.
C. U.