Fino al 19 febbraio in scena al Teatro Ringhiera una storia che riflette sul capitalismo e le contraddizioni della sua "cultura"
Ken e Barbara. Un marito, una moglie. Un tempo, carichi di ideali sognavano di cambiare il mondo, militavano nei Peace corps. Poi si cresce, e Ken sogna di cambiare quel Terzo Mondo che ha conosciuto, lavorando dentro una multinazionale che sforna prodotti adatti a quei paesi. Ma una multinazionale fa affari, business e Ken, senza quasi che se ne accorga, cambia pelle: ora è uno di quei tagliatori di teste, che la Ditta manda in giro per il mondo a licenziare chi non funziona più… o chi si è reso conto che la baby formula di un latte in polvere per le madri africane, forse non fa loro troppo bene! «L’uomo che ho sposato e l’uomo che vende la baby formula alle madri africane non sono la stessa persona» confessa Barbara, che lo segue, moglie di quel dirigente ormai lontano da lei. E poi c’è un figlio e un dramma. E questa donna, moglie, madre, un certo giorno, guardando davanti a sé una platea di altre mogli di colleghi del marito, sente la necessità di vuotare il sacco e raccontare quella parte della sua vita, non propriamente luminosa, legata alla Ditta. |
La cinica cultura del capitalismo, lo sfruttamento del Terzo Mondo, un attualissimo ragionamento politico calato nella parabola di una coppia in cui marito e moglie “crescono” e reagiscono in modo diverso.
«Il testo interseca due piani, quello importantissimo del ragionamento politico anche estremo – commenta Serena Sinigaglia – che si può sintetizzare nel concetto che anche il capitalismo ha “una sua cultura”… Siamo abituati a pensare che ne possegga una il comunismo, ma anche il capitalismo ce l’ha, eccome. E porta al suicidio della razza umana. È la cultura della produzione ad oltranza, mentre la terra ha un limite, l’acqua a disposizione è limitata, la nostra stessa vita ha un limite, quindi il concetto di moltiplicare continuamente il consumo è suicida. Si è riflettuto troppo poco su questo, perché siamo portati a intendere il progresso comunque in modo positivo… Se la caduta del muro di Berlino rappresenta nella macrostoria la vittoria del capitalismo proiettata a livello planetario, va ribadito che Baitz – avendo scritto il testo nel 1994 – ha avuto molta capacità d’intuizione. C’è poi l’altro piano, che fa sì che questo testo sia teatro. Il teatro è la rigenerazione di una vita nel “qui e ora” della rappresentazione: Tre alberghi rappresenta – attraverso la successione di tre monologhi – il disfacimento del protagonista Kenneth che vede il suo matrimonio crollare e la sua persona mostrificarsi. La scelta di Baitz di calare una profonda critica e analisi politicoeconomica sull’esistenza di due persone, te la rende immediatamente percepibile, vita concreta».
Spettacoli:
martedì, giovedì e venerdì ore 20.45 – mercoledì e sabato ore 19.30 – domenica ore 16 – lunedì riposo
Biglietti: intero 18 € - ridotti 15/12 €
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BIGLIETTERIA Aperta dal giovedì al sabato dalle 17.00 alle 19.00, negli altri giorni di spettacolo 1h30 prima dell’orario di inizio.
tel. 02.84892195 – prenotazioni@atirteatroringhiera.it
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