L’assassinio di Abba è una tragedia anche per il domani dell’integrazione.

Ma la tragedia di Abba dice anche dell’altro e se possibile di ancor più preoccupante, non tanto per la sequela di errori irresponsabili e interessati compiuti fino ad oggi, ma per i rischi che ci aspettano. Abba era un ragazzo italiano, figlio di immigrati, il suo passaporto e la sua lingua erano gli stessi di coloro che nutrono diffidenza, paura o addirittura ostilità nei confronti degli immigrati. Abba non era un extracomunitario come non lo sono le migliaia di ragazzi che qui sono cresciuti, o addirittura nati, che parlano l’italiano assai meglio della lingua dei loro genitori, quando la conoscono.
Da domenica questi cittadini italiani cosa pensano del loro paese, e come vivono il rapporto con esso? Questi giovani italiani dalla pelle scura o dagli occhi a mandorla, dai nomi esotici ma che parlano e pensano come tutti gli altri loro coetanei con i quali sono cresciuti, quanto si sentono parte di una comunità? Oppure, quanto si sentono bersagli di un clima che sembra essere sfuggito al controllo degli apprendisti stregoni della spirale paura-sicurezza?
Siamo ancora in tempo per evitare una sindrome parigina, quella sorta di apartheid non dichiarata dove i francesi di seconda, terza e quarta generazione che vivono nelle banlieues si considerano stranieri in conflitto con il proprio paese. Un conflitto tutt’altro che immaginario, se andiamo con la memoria agli scontri verificatesi negli ultimi anni nelle periferie delle grandi città d’oltralpe.
Beniamino Piantieri