Dal 22 ottobre una mostra alla Galleria Borgogna sugli spazi scorticati della città

Schubert è un nome affermato, anzi prestigioso, dell’arte milanese. Fu lui portare a Milano l’arte concettuale e chi lo conosce sa con quanta tenacia abbia perseguito la sua concezione del gallerista Mecenate che se ne infischia dei quattrini: “Ho accettato il progetto Spazi di Confine senza esitazioni. Io porto qui proposte e non opere mercificate, rifiutando una tendenza purtroppo decisamente dominante. Nella scelta dei quattro artisti che ospiterò non c’è nessun ritorno economico e nessun opportunismo”.
Guerisoli e Moratto sono due esponenti di quella cultura autonoma, colta, imprenditrice di se stessa senza relazioni con i palazzi del potere, di cui Milano pullula e che raramente finisce sui giornali. Curatori di arte contemporanea, scrittori, giornalisti free lance, per intenderci, che pubblicano, allestiscono e commentano in un quasi anonimato imbarazzante per una città come Milano, che sembra accorgersi del valore del talento creativo solo quando inaugura Officina Italia, del duetto Bertante e Scurati.
Schubert invece, con Spazi di confine, ci crede: “ Mi aspetto un pubblico decisamente giovane, questa non è una mostra per collezionisti, che sono già indirizzati su percorsi ormai molto rigidi. E’ una mostra per chi vuole guardare al futuro”.
I quattro artisti conducono il visitatore nel cuore di una contaminazione inquietante dei sentimenti di emarginazione personali con il contesto produttivo moderno, quasi sempre squallido e capace di scorticare vive le aspirazioni di libertà e di indipendenza.
Gli interstizi della città, vuoti, vere periferie dell’uomo, sono al centro di La Zona, di Paola Verde, un wall paper con fotografie in bianco e nero delle aree dismesse ex industriali di Milano. Alcune di esse non esistono nemmeno più, rimpiazzate da centri commerciali. Paola Verde li recupera, celebrandone la potenza evocativa. Con lei, Guerisoli continua un importante lavoro di sensibilizzazione sulla bellezza industriale, esplorato l’anno scorso, primo studio in assoluto, con Hangar Bicocca, che ha collaborato con lei in un lavoro pionieristico sull’archeologia della area ex Falck.
Carlo Steiner, invece, in Festthyssen, reinterpreta in chiave protestataria il festone, affidandogli non il tradizionale compito celebrativo, bensì l’espressione funebre dei tragici fatti della Thyssen di Torino. Un evento di cronaca trasporta dentro la coscienza dello spettatore contraddizioni sociali percepite come consustanziali al mondo produttivo contemporaneo.
La Galleria Borgogna affida alle due curatrici, senza remore, il compito di esporre artisti in formazione.
Gianni Schubert è molto chiaro sul destino di una operazione giovane come la sua, controcorrente, alla caccia di talento da spendere e non solo di esibizione: “La miglior reazione alla crisi è l’arte. Creare, provare e riprovare con la propria opera a trovare una visibilità. Solo in momenti come questi si aprono delle aporie ed è su di loro che si innesta il possibile. Insomma, non bisogna arrendersi”.
Ribellione e pensiero. Non distillati.
Elisabetta Corrà