Chiusi gli insediamenti abusivi in zona Certosa, il 50% degli occupanti ha accettato le soluzioni alternative ma il terzo settore non risparmia le critiche

Ma come è stato gestito il maxi-sgombero, probabilmente il più importante dell'amministrazione Pisapia? Come sempre in queste operazioni, sul posto erano presenti gli assistenti sociali, che dopo aver censito i presenti hanno presentato la possibilità di accoglienza offerta dal Comune. Come è già avvenuto in altre occasioni negli scorsi mesi, le famiglie che hanno accettato la proposta dei servizi sociali sono state ospitate nei due centri di emergenza sociale di via Barzaghi e via Lombroso, dove gli operatori del terzo settore assisteranno le famiglie cercando di iniziare un percorso di integrazione.
254 in totale le persone che hanno accettato, su circa 600 presenti. Queste le cifre comunicate da Palazzo Marino. Gli altri hanno dovuto, nel corso di questi giorni, trovare da soli un'altra sistemazione. Così le cronache, e le stesse note diffuse da Palazzo Marino, hanno parlato di un costante controllo della polizia locale nei pressi delle due aree appena liberate per evitare il ripetersi immediato di altri insediamenti. E, ovviamente, successive operazioni di sgombero di altri accampamenti improvvisati, operazioni di ordine pubblico, se così si possono classificare, che pressoché in ogni occasione fanno da corollario allo sgombero iniziale.
Così nella giornata di martedì sono state allontanate una cinquantina di persone dal piazzale del Cimitero Maggiore, oltre che dall'area abbandonata di via Lemene 37, e dagli spazi della cascina Torchiera.
I volontari del Naga –associazione che da anni si occupa di prestare assistenza e cure mediche in particolare a Rom e clandestini– hanno denunciato poi il caso di alcune famiglie finite in fondo alle liste degli assistenti sociali per un posto nei centri d'accoglienza, e che sarebbero così rimaste fuori dalle 254 persone conteggiate dal Comune. È difficile fare chiarezza sui singoli casi, anche se dall'assessorato alla Sicurezza si spiega che con alcune famiglie è stata effettivamente tenuta la linea della fermezza. Sono le persone che, alla chiusura del campo Rom di via Triboniano, avevano già ricevuto i 15.000 euro previsti dal piano Maroni per tornare e stabilirsi in Romania, ma che a tempo record sarebbero ritornate in Italia.
Nell'insieme dei casi resta un nodo non del tutto risolto, quello dell'effettiva capacità di accoglienza delle strutture comunali alternative ai campi. 600 le persone sgomberate, 254 quelle ospitate in via Barzaghi e Lombroso, ma i due centri, insieme, hanno una capienza di circa 250 posti e prima dello sgombero di lunedì erano comunque parzialmente impegnati. Una situazione denunciata sempre dal Naga, secondo cui il Comune avrebbe messo a disposizione non più di 200 posti. Con la conseguenza che, anche volendo, non tutti avrebbero potuto accedere alle sistemazioni alternative. Una tesi che è respinta con fermezza dall'assessorato alla Sicurezza, che anzi sottolinea come il buon numero di persone che hanno accettato la soluzione dei centri d'emergenza sociale sia segno di un sistema che comincia a funzionare, rendendo meno differenti le stesse famiglie Rom. Deve essere poi chiaro, sottolineano sempre dall'assessorato, che se ci fosse stato un numero maggiore di richieste si sarebbero comunque trovate soluzioni alternative.
Restano dunque le differenze di vedute e le polemiche. Le associazioni dei Rom chiedono di fermare la politica degli sgomberi, che spesso avvengono in inverno, e di pensare a soluzioni alternative. Molti degli enti del terzo settore impegnati nell'assistenza ai Rom –e che collaborano in questo con la stessa Amministrazione– propongono, in assenza di altri posti disponibili, di fornire acqua ed elettricità ai campi. L'assessore Granelli ha voluto rimarcare il punto di forza dei centri di ospitalità temporanei, in sostanza l'effettivo elemento di novità della strategia messa in campo dall'Amministrazione: nella prima notte di vero freddo a Milano “le famiglie che hanno accettato l’ospitalità dei centri di emergenza che abbiamo messo a disposizione di chi accetta il percorso d’integrazione sono al caldo”.
C. U.