Approvata la delibera congiunta sulle Società partecipate, ma il guadagno potrebbe essere esiguo

Due percorsi separati, quelli delle società partecipate, che però si sono intrecciati fin da subito, per gli interessi convergenti di Comune e Provincia.
Due percorsi con una scadenza obbligata.
Per quanto riguarda Serravalle, il Comune, che detiene il 18,60% delle quote, contro il 52,90% della Provincia, aveva già provato a mettere sul mercato la sua parte per due volte nel giugno e nell'ottobre del 2011, senza che arrivasse nessun acquirente.
Chi avrebbe avuto interesse a comprare una quota così esigua della società che gestisce le tangenziali? In primavera il primo accordo con la Provincia. Milano avrebbe dovuto vendere la sua parte all'ente presieduto da Guido Podestà, acquistando a sua volta le azioni Sea sempre dall'ente provinciale. Il cosiddetto concambio, che avrebbe lasciato rispettivamente al Comune una grande maggioranza di quote Sea e alla Provincia il 70% di Serravalle. Il tutto con un conguaglio di circa 130 milioni di euro pagato da Palazzo Marino.
Non appena sottoscritto l'accordo, però, arrivava il ricorso al Tar, sulla necessità di una gara internazionale, presentato dal fondo F2i di Gamberale, che in precedenza aveva acquistato il 32% di Sea dal Comune, diventandone il secondo azionista. Tutto fermo quindi. Accordo non ratificato dalla Provincia, e problema di valorizzare le due società ancora aperto.
Arriviamo al terzo passaggio consumatosi tutto in poco più di un mese, da metà agosto 2012 in poi. Su proposta di Palazzo Marino, dove avevano preparato la strategia il direttore generale Davide Corritore e l'Assessore al Bilancio Tabacci, Comune e Provincia si accordano sulla delibera congiunta per le due società. Il Comune metterà all'asta la quota di Serravalle insieme a quella della Provincia: andrà quindi sul mercato il 70% della società, un pacchetto di azioni che potrebbe essere ben più appetibile della quota inferiore al 20% già messa in vendita dal Comune senza risultato. Una cessione che serve soprattutto alla Provincia, che ha forte necessità di fondi per far quadrare il bilancio di quest'anno. Vendita deliberata da Palazzo Isimbardi nella seduta di martedì 25 settembre, quindi con due giorni di anticipo rispetto all'Aula consiliare di Palazzo Marino. La maggioranza di centrodestra di Palazzo Isimbardi aveva però il vantaggio di essersi riservata una decisione successiva su Sea, non essendosi vincolata alla quotazione in Borsa alla quale ha puntato invece il Comune.
Sul versante SEA, come detto la quotazione del 25% dell'azienda è il terzo atto della Giunta Pisapia. Un passaggio, quello dell'entrata nel mercato azionario, che del resto era tra le ipotesi prospettate già da diversi mesi per valorizzare le quote della società e quindi per portare soldi nelle casse del Comune.
In seguito alla fallita vendita di Serravalle nel 2011, si era deciso di mettere all'asta il 29,75% di Sea, quote comprate dal fondo F2i di Gamberale. A Palazzo Marino restava quindi il 54% di Sea: ancora la maggioranza assoluta della società. Impossibile però vendere nuovamente una quota consistente senza scendere in minoranza. Da qui la decisione dello scambio di azioni di Serravalle e Sea con la Provincia, poi non ratificato da Palazzo Isimbardi.
Per ovviare al mancato scambio di pacchetti azionari tra i due enti, il Sindaco Pisapia propone al Propone al Podestà di vendere congiuntamente Serravalle, mentre il Comune avrebbe portato in Borsa Sea, con o senza la Provincia.
Questi i passaggi dell'operazione. L'entrata in Borsa, entro la finestra dell'autunno di quest'anno, avverrebbe, con un flottante del 25% (la quota minima di azioni complessive che deve essere quotata). Azioni che vengono fornite dal Comune per l'8,10% del totale, mentre il restante 16,90% viene dato da un aumento di capitale, ovvero dall'emissione di nuove azioni. Il Comune scenderebbe così al 38,12% di Sea, quindi sotto la maggioranza assoluta. Resterebbe comunque il primo azionista, mantenendo 5 componenti su 7 in consiglio di amministrazione.
A delibere approvate, il Comune potrebbe ottenere circa 80 milioni dalle azioni Sea immesse in Borsa, mentre sarebbe la società aeroportuale ad ottenere il maggiore vantaggio dall'aumento di capitale. A conti fatti è sempre in Serravalle, però, il tesoretto più consistente anche per il Comune. Circa 130 milioni potrebbero entrare dalla sua vendita.
“Stiamo facendo un'operazione per rafforzare Malpensa mentre il centrodestra ha sempre prosciugato le casse della società”, ha spiegato la capogruppo Pd Carmela Rozza, difendendo la delibera. Una decisione di grande respiro, quindi, “non da provinciali”, per rafforzare il sistema aeroportuale del Nord. Lo stesso ragionamento che fanno il Presidente di Sea Bonomi e l'Assessore Tabacci. Anche se fino a una settimana fa la versione prevalente era che i soldi di Sea servissero direttamente alle casse comunali, soprattutto per i nuovi treni della metropolitana.
Rimangono però due grandi dubbi, sia sulle cifre della delibera sia sull'effettiva quotazione. Partendo da questo secondo punto, entrare in Borsa ora potrebbe non essere così vantaggioso per Palazzo Marino, se le azioni venissero valutate ad un prezzo troppo basso. Terminato il cosiddetto lock-up sulle azioni della Provincia (ovvero l'impegno a non vendere per i prossimi sei mesi), il fondo F2i potrebbe poi acquistare anche la quota di Palazzo Isimbardi, e lanciare l'opa su tutta la società. Anche in Borsa, quindi, il Comune rischia di non vedere valorizzata adeguatamente la sua società partecipata più preziosa. E, guardando al mero aspetto del bilancio, l'Assessore vedrebbe entrare relativamente pochi soldi nelle casse comunali.
Resta una piccola curiosità matematica. Come spiegato, in delibera è scritto che per raggiungere il 25% da immettere sul mercato azionario servono l'8,10% del Comune più il 16,90% dell'aumento di capitale. La somma dà effettivamente 25. Ma 8,10% sono le azioni considerate prima della quotazione, mentre l’aumento di capitale, ingrandendo la torta, fa scendere in proporzione il valore delle quote immesse dal Comune. Il 25% calcolato sui numeri antecedenti alla quotazione è perciò di poco inferiore rispetto al 25% posteriore alla quotazione stessa. Un problema di facile soluzione, spiegano i tecnici di Palazzo Marino, risolvibile con maggiore aumento di capitale o con maggiori quote del Comune. Un errore che però dà la misura dei tempi strettissimi con cui è stato affrontato l'ultimo e decisivo passaggio sulle due partecipate di Palazzo Marino.
Claudio Urbano