Dopo la lenta crescita degli ultimi anni, Milano torna a perdere abitanti e nemmeno gli stranieri riescono ad arrestare l’inesorabile emorragia demografica

Forse per la complessità della materia, probabilmente perché i dati assestati sono di un anno prima e all’inizio del 2008 ogni riflessione è possibile solo sulle cifre al 31 dicembre 2006, fatto sta che numeri che riguardano l’andamento della popolazione, cioè quello che sarà il futuro di una comunità non sono certo in cima al dibattito pubblico. Eppure nulla come questi dati ci aiutano a capire il presente e soprattutto quello che sarà il futuro.
La demografia è una “scienza lunga”, una disciplina che studia piccoli scostamenti percentuali i quali nell’arco degli anni e dei decenni producono veri e propri smottamenti sociali che ridisegnano profondamente i tratti somatici di una società.
Nel 1971 a Milano l’indice di vecchiaia era 60,5 (46,2 a livello nazionale), il che voleva dire che per ogni 100 bambini c’erano sessanta anziani. Nell’ultimo quarto di secolo questo rapporto si è più che invertito e all’ombra del Duomo l’indice di vecchiaia della società milanese è arrivato a quota 200: cioè per 100 cittadini al di sotto di quattordici anni ci sono 200 ultrasessantacinquenni (a livello nazionale l’indice di vecchiaia sfiora quota 140). Milano è invecchiata in misura impressionante e ad un ritmo addirittura superiore rispetto al già repentino invecchiamento nazionale.
Una parabola discendente che ha visto il proprio culmine –o per meglio dire il punto più basso– nella seconda metà degli anni ’90, durante i quali ad esempio il tasso di fecondità (il numero di nati vivi per
ogni donna in età fertile) era sceso fino a 1,009 nel 1998. A dieci anni di distanza il tasso di fecondità è risalito fino a superare quota 1,27, un valore comunque di molto al di sotto di quel 2,1 che dovrebbe consentire il mantenimento della stabilità demografica.
Questa lenta risalita –troppo spesso salutata con facili entusiasmi– è dovuta essenzialmente alle donne immigrate, le quali se rappresentano circa il 12% delle donne in età feconda a Milano hanno dato alla luce il 29% dei nuovi nati nel 2006 (ultimo anno per il quale possediamo dati assestati). La debolezza di una “ripresina” demografica, più annunciata che reale, è dimostrata anche da un altro dato appena diffuso dal Settore statistica del Comune che riguarda il tasso di crescita della popolazione. Questo dato al dicembre 2006 (rispetto allo stesso mese del 2005) si era fermato a -3,9 per mille e nei primi tre mesi del 2007 ha continuato a registrare valori negativi (-3,2 per mille a gennaio, -1 a febbraio e -2 a marzo).
Insomma la notizia è che nonostante l’immigrazione Milano perde abitanti, anzi per essere più precisi ha ripreso a perderne e per la prima volta dal 2001 il saldo è negativo. Dal 2001 alla fine del 2005 il capoluogo lombardo –benchè per merito esclusivo del flusso migratorio– aveva visto aumentare i propri residenti di 55.200 unità passando dal 1.253.503 abitanti al 31 dicembre 2001 al 1.308.735 alla fine del 2005.
Nel corso del 2006 invece si è registrata un’inversione di tendenza con un calo di oltre 5.200 residenti. Questo calo, di per sé già significativo, assume ancor più rilievo poiché non è tanto dovuto all’andamento del tasso di ricambio naturale della popolazione (cioè il rapporto tra nascite e morti) che ormai si è stabilmente assestato su un valore negativo, bensì all’inversione registrata nel corso del 2006 nei valori del tasso di ricambio migratorio (il rapporto tra iscritti e cancellati alle liste dell’anagrafe), che per la prima volta dal 2001 ha avuto il segno meno.
Beniamino Piantieri