Nonostante la crisi Milano non aumenta le spese per il sociale, come hanno deciso invece molti capoluoghi lomba

Coloro che già erano in difficoltà si trovano in situazioni drammatiche e quelli che erano appena oltre la soglia della tranquillità economica si trovano a barcollare verso un’incertezza carica di pesanti incognite.
Non si tratta di un’impressione da sociologia spannometrica, sono i dati dell’economia lombarda a chiarire la situazione: nel primo trimestre 2009 le richieste di cassa integrazione sono state quanto tutte quelle del 2008 e la media regionale supera quella nazionale con punte drammatiche nella provincia di Varese (dove è di 29,9 ore mensili per dipendente a fronte del dato nazionale che è di 9,1 ore/mese per dipendente), Pavia (20,1ore mensili) e Brescia (15,9 ore mensili).
La situazione a Milano è più complessa da delineare, poiché la crisi occupazionale e sociale, dato un tessuto produttivo fondato sul terziario avanzato e caratterizzato da una pluralità di rapporti di lavoro atipici, non è misurabile con il solo dato della cassa integrazione, che nel Capoluogo lombardo si attesta solo a 4,5 ore mensili per dipendente.
A testimoniare la gravità della situazione, nonostante gli annunci che parlano di luci in fondo ad un tunnel che per molti si prospetta ancora lunghissimo, ci sono i dati delle richieste di sostegno al welfare dei comuni lombardi aumentate in tutti i capoluoghi di provincia, con punte di +20%.
I Comuni, è noto, sono l’ultimo anello della catena di un welfare debole e squilibrato e sono sempre più alle prese con tagli ai trasferimenti e un patto di stabilità che riduce i margini di manovra in modo drastico.
Si pensi soltanto che quest’anno il Fondo nazionale per famiglie anziani e disabili che viene distribuito alle regioni –che a loro volta lo erogano sul territorio dopo averlo integrato con risorse proprie– ammonterà a metà di quello stanziato nel 2008 e a meno di un terzo di quello del 2007. Tanto che le risorse dei “piani di zona” attraverso i quali agisce il Fondo nazionale saranno fortemente ridimensionate e, come denuncia l’Ufficio servizi alla persona dell’Anci Lombardia, con pesanti ricadute anche nel 2010, quando potrebbe sentirsi ancor più l’insufficienza del sostegno a persone e famiglie in difficoltà.
Eppure, nonostante le ristrettezze di bilancio, non tutti i comuni si comportano allo stesso modo e a fronte delle richieste di aiuto da parte dei cittadini c’è chi ha deciso di destinare più fondi alle spese sociali rispetto all’anno scorso. Non tutti però, fanno eccezione fra i capoluoghi Milano, Monza e Bergamo. Il capoluogo brianzolo ha addirittura tagliato dell’1,2% le spese sociali, mentre i Comuni
di Milano e di Bergamo hanno deciso di lasciarle invariate rispetto al 2008. Invece, negli altri casi si possono contare aumenti significativi: +4,6% per Varese, +3,3% a Sondrio, +2,8% a Pavia, +4,4% a Mantova, +5,3% per Lodi, + 4,4% a Cremona, +2,3% a Como e addirittura +15,8% per Brescia.
La decisione di lasciare invariata la spesa sociale a fronte della crisi attuata dal Comune di Milano risalta, negativamente, anche a fronte di un altro dato: tra i comuni lombardi capoluogo di provincia Milano è al quartultimo posto nella classifica dell’incidenza della spesa sociale sul totale delle spese correnti.
Palazzo Marino, infatti, destina alle politiche sociali il 16,7% del totale delle spesa, meno fanno Varese con il 14,1%, Sondrio con il 12,8% e Pavia con il 9,1%.
Meglio, invece, fanno Monza con il 17,5% del totale delle spese correnti destinato al sociale, Cremona con il 18,5%, Lodi con il 20%, Mantova con il 20,3%, Brescia con il 22,6%, Como con il 23,2% e Bergamo con il 25,5%.
Ettore Pareti