Il Comune ha respinto la proposta degli islamici di rilevare il Palasharp. Ancora nessuna soluzione in vista, quindi, sui luoghi di culto

Questa la proposta lanciata sulle colonne del Corriere lo scorso martedì 8 aprile da Davide Piccardo, portavoce del Caim (Coordinamento delle associazioni islamiche milanesi) e da Abdel Hamid Shaari, presidente dell'Istituto culturale islamico di viale Jenner
Il giorno successivo, la risposta dell'assessore Chiara Bisconti, competente proprio in quanto responsabile del settore Sport. L'Assessore ha chiarito che la struttura va demolita perchè non più sicura, ed ha spiegato che “il Comune intende realizzare su quell'area una nuova costruzione, possa accogliere eventi di spettacolo, sport, di aggregazione sociale e culturale, come avvenuto in tutti questi anni”.
Fin qui i fatti. Vale però la pena ricordare alcuni elementi che, oltre la cronaca della scarna interlocuzione tra Comune e Caim, possono aiutare ad inquadrare meglio l'annosa situazione moschea. In questi giorni si è parlato di un possibile incontro tra le parti, nel quale i musulmani potrebbero formalizzare la loro proposta. Di fatto, però, sia da Shaari che dal Comune arriva la spiegazione che contatti diretti non ce ne sono stati, e che per ora non sono in programma. “Ci piacerebbe incontrare al più presto l'Assessore Cappelli, che non conosciamo direttamente”, spiega Shaari. L'Assessore (che ha ereditato da Maria Grazia Guida anche la delega al dialogo interreligioso) non è però intervenuto nel botta e risposta di questi giorni. La questione Palasharp, spiegano da Palazzo Marino, riguarda più direttamente le Assessori De Cesaris e Bisconti, ovvero: prima è necessario decidere valutare la situazione sul lato della pianificazione urbanistica.
Una linea, questa, che viene utilizzata per rimandare una riflessione concreta sulla costruzione di una moschea (come di altri possibili luoghi di culto)? Nelle stringate dichiarazioni del Comune – che è ovviamente libero di gestire come crede le politiche urbanistiche – si possono leggere anche le preoccupazioni, comprensibili e giustificate, di non favorire un solo gruppo religioso (il Caim infatti non rappresenta tutte le realtà islamiche di Milano), ma forse anche di non aprire la strada a cospicui finanziamenti in arrivo dall'esterno (Qatar e Kwait appunto) che potrebbero suscitare polemiche.
Un passo in avanti sul piano del riconoscimento e del dialogo coi gruppi religiosi in città è dato sicuramente dall'albo delle organizzazioni religiose presenti a Milano, avviato a fine dicembre. Un registro che era stato pensato, oltre che per censire tutte le realtà con cui l'Amministrazione poteva entrare in contatto, anche per favorire il Comune nel suo lavoro di garanzia del diritto di culto. Per capire, avere informazioni certe su una realtà può anche essere utile quando questa dovesse chiedere di costruire un proprio edificio per attività religiose. Lo stesso Shaari, che ha iscritto all'albo l'Istituto islamico di viale Jenner, ricorda però che non c'è alcun legame tra il registro e le richieste di tipo urbanistico da rivolgere al Comune. Un elemento che, peraltro, era apparso chiaro fin dall'inizio.
L'albo, con le informazioni su chi vi ha aderito, verrà reso pubblico entro giugno. Quanto alla questione dei luoghi di culto, certamente la Giunta Pisapia, che all'inizio del suo mandato aveva ipotizzato addirittura la possibilità di piccole moschee di quartiere, deve ancora sciogliere alcuni nodi cruciali su questo terreno. Intanto, le realtà aderenti al Caim continueranno ad utilizzare per la preghiera la tensostruttura messa a disposizione, sempre dal Comune, proprio di fianco al palazzetto del Palasharp.
Claudio Urbano