Metropolitane incompiute, posti di lavoro evaporati, turisti dimezzati, ma lo spettro vero del dopo Expo è il valore reale delle aree

Ma procediamo con ordine.
Le metropolitane, poi, rappresentano un'odissea nell'odissea: la linea 6 inserita nel dossier di candidatura presentato al BIE sparì già poche settimane dopo l'assegnazione dell'Expo a Milano, la linea 5 aprirà solo metà delle stazioni della seconda tratta (Garibaldi-San Siro) in tempo per l'Esposizione universale, il prolungamento della MM1 da Sesto a Monza fermo da otto mesi dovrebbe ripartire a breve ma non vedrà certamente la luce per Expo, mentre la linea 4, per la quale non esiste al momento una tempistica definita, è ormai un caso politico-finanziario che ha spaccato Giunta e maggioranza, come abbiamo scritto la settimana scorsae nella migliore delle ipotesi vedrà la luce dopo il 2020.
Sui visitatori attesi lo sbriciolarsi delle previsioni è stato, se è possibile, ancor più fragoroso: in meno di quattro anni si è passati dalla mirabolante cifra di 30 milioni a 20, comprensivi del normale flusso turistico che arriva a Milano e che, secondo i dati ufficiali relativi al 2013, è di circa 4,5 milioni di presenze. Quindi secondo gli ultimi calcoli, che ormai sembrano avere la solidità scientifica degli oroscopi, Expo attrarrebbe a Milano circa 15 milioni di visitatori. Un taglio del 50% delle stime iniziali ma che sembra destinato a diventare ancor più consistente poiché non tiene conto né dell'aggravarsi della crisi economica in Italia (dettaglio non secondario, visto che ormai gli organizzatori sperano soprattutto nei visitatori italiani) né dell'acuirsi delle tensioni internazionali (si pensi solo che del milione e mezzo di turisti stranieri che hanno visitato Milano lo scorso anno la prima nazionalità è quella russa).
Eppure c'è un'altra promessa che sembra destinata ad infrangersi fragorosamente contro la realtà: è quella che riguarda il valore futuro delle aree che ospiteranno l'Expo. In gioco non ci sono progetti e masterplan, che negli ultimi mesi, hanno occupato le pagine dei giornali, bensì il prezzo a cui saranno venduti i terreni una volta smantellati i padiglioni. Si tratta infatti del vero core business di tutta l'operazione Expo. Gli oltre cento ettari acquistati nel 2011 dalla società Arexpo (costituita da Regione Lombardia per il 34,67%, dal Comune di Milano per un altro 34,67%, da Fondazione Fiera per il 27,66%, Provincia di Milano per il 2% e Comune di Rho per l'1%) per 150 milioni di euro, saranno messi sul mercato una volta chiusi i battenti dell'Esposizione universale. Un'area fortemente infrastrutturata, a seguito dei lavori per il 2015, e dalla quale si preventivava di ricavare tra i 346 e i 366 milioni di euro. Un affare per i soci di Arexpo. Ma anche in questo caso, come per le metropolitane, i posti di lavoro e i turisti attesi, le fauste previsioni si scontrano dolorosamente con la fosca realtà. Arexpo che vanta, si fa per dire, circa 150 milioni di euro di debiti con Fondazione Fiera e il pool di banche che hanno finanziato l'acquisto dei terreni, nelle scorse settimane ha già ridimensionato le proprie attese: la base d'asta per i terreni è stata portata a 315 milioni di euro. Ma il peggio sembra debba ancora venire poiché gli operatori immobiliari e gli analisti del settore, considerando lo scenario di un mercato edilizio in profonda crisi e che non sembra destinato a risollevarsi a breve, giudicano la cifra troppo alta. Alcuni ritengono addirittura che il valore di mercato, dato i parametri del bando, sia circa la metà. Uno scenario catastrofico che metterebbe definitivamente in luce il fallimento complessivo dell'intera operazione Expo.
A meno che non vengano rivisti i paletti stabiliti per il futuro dell'area, riducendo considerevolmente la quota di aree destinate a verde (circa il 45% della superficie) e dando via libera al cemento: la pietra definitiva su quello che avrebbe dovuto essere l'Expo della sostenibilità.
Beniamino Piantieri