Il mercato abitativo per i “fuori sede” penalizza lo sviluppo di Milano come città universitaria

E' l'efficiente e produttiva capitale del nord, ancora oggi per molti versi la città-miraggio di “Rocco e i suoi fratelli”,rutilante e seduttiva vetrina capace di rispondere alle esigenze, ai sogni e alle ambizioni dei giovani. Questa è Milano per tanti ragazzi: felice approdo, meta ideale, garanzia di realizzazione professionale e stabilità economica.Ma Milano è anche, e sempre più, la città proibita.
Così la chiamano i molti che da tutta Italia si trasferiscono nel capoluogo lombardo per studiare.
Se da un lato infatti l'offerta formativa del polo universitario vanta ben 7 atenei e 35 facoltà, dall'altro il costo della vita, e soprattutto l'inarrestabile lievitazione del mercato immobiliare, rendono assai dispendiosa, se non proibitiva, la permanenza fuori casa.
Così, dei 163.206 iscritti negli atenei del capoluogo lombardo nel 2005, solo il 25% era costituito dai ‘fuori sede’.
Ma dove, e soprattutto, come vivono questi studenti?
Distribuzione delle soluzioni abitative adottate dagli degli studenti fuori sede che, nell’anno accademico 2002/03, hanno regolarmente abitato a Milano per ateneo di iscrizioneForme di condivisione degli appartamenti e delle stanzeaffittati dagli studenti fuori sede che, nell’anno accademico 2002/03, hanno regolarmente abitato a Milano per ateneo di iscrizione
Poco più di 3.000 dei quasi 41.000 ‘fuori sede’ usufruiscono degli alloggi messi a disposizione dagli Isu (Enti per gli Studi Universitari), dal 2004 gestiti direttamente dalle università.
Più di 37.000 studenti devono quindi farsi strada nella giungla dei prezzi esorbitanti e delle locazioni inadeguate. 1000 euro per un appartamento di 60 metri quadri, 450 euro per una stanza singola, 300 per una doppia. Luce, acqua e gas esclusi. Queste le condizioni medie nelle zone limitrofe alle università - città studi, Bovisa, Bicocca, Bocconi.
Raffrontando questi prezzi con le retribuzioni medie della classe impiegatizia è facile intuire come la spesa per la casa rappresenti un esborso troppo oneroso per molti nuclei familiari.
Studiare a Milano senza essere residenti in città o nelle vicinanze è un lusso. Ciò, però, non costituisce solo un elemento di sperequazione, dovuto ad un mercato che ha un carattere più predatorio che speculativo, ma anche una pesante ipoteca per lo sviluppo di Milano come città universitaria. Come hanno recentemente sottolineato alcuni rettori degli atenei meneghini i prezzi fuori controllo delle sistemazioni per studenti scoraggia sempre più dal venire a studiare all’ombra del Duomo.
Dal 1999, oltre alle tradizionali formule di canone libero e canone calmierato, la legge prevede la possibilità di contratto a natura transitoria. Provvedimento questo, volto ad agevolare le esigenze degli studenti che si trovino a passare un periodo limitato tra i 6 e i 36 mesi nella sede universitaria. Ma la legge pare non scoraggiare il ricchissimo mercato dell’affitto in nero. Esentasse senza alcuna garanzia per gli studenti e nessun obbligo per i proprietari, i contratti illegali riguardano secondo alcune stime tra il 70 e l’80% dei fuori sede.
I proprietari, ben consapevoli del fabbisogno locativo della città, cercano spesso di sfruttare il più possibile appartamenti trasandati, troppo piccoli e poco funzionali, mettendoli a disposizione di 3 o 4 studenti che accettano di vivere stipati in 60 metri quadri ponendo a dura prova le proprie capacità di adattamento, tra code per il bagno (dove spesso c'è un rubinetto che perde o la doccia pronta a tracimare), frigoriferi asmatici suddivisi come zone di guerra, armadi anni 50 traboccanti, letti e divani con le molle usurate. Per non parlare degli orari e delle abitudini diversi, che producono un perenne trambusto che sicuramente non favorisce la concentrazione negli studi.
Questi dunque i prodotti a disposizione nella luccicante vetrina milanese: locazioni decorose e abitabili ma a prezzi esorbitanti, o soluzioni abitative di fortuna e standard qualitativi sempre peggiori a prezzi sempre più inaccessibili.
Una vetrina dalle poche alternative, che non solo mal soddisfa la propria “clientela” ma che in prospettiva penalizza lo sviluppo dell’intera città.
Giulia Cusumano