Perché a Milano le biblioteche rionali sarebbero importanti

Ma in biblioteca vanno anche gli anziani, che occupano parte del loro tempo spulciando i quotidiani, e appagando un'esigenza, particolarmente sentita a quell'età, di mantenersi al corrente.
E, non da ultimi, vi si recano tanti immigrati, sempre di più, mossi dalla volontà di adattarsi alla realtà che li circonda, e che hanno compreso l'importanza autentica dell'integrazione scoprendo attivamente anche le innumerevoli possibilità offerte dalla nostra società. Insomma la biblioteca è un microcosmo cittadino, che abbatte ogni barriera così come ci piace pensare faccia una cultura abbondante e dinamica: un luogo di incontro e aggregazione, interdisciplinare, intergenerazionale, interculturale, interclassista, tanto per l'offerta quanto per l'utenza. Un luogo di crescita personale e sociale. Potrebbe essere anche il primo, fondamentale, avamposto positivo contro il degrado, la criminalità, la grettezza che sanno produrre le grandi metropoli, come effetto collaterale dell'urbanesimo estremo.
Milano ha un numero forse sufficiente di biblioteche disseminate sul suo territorio.
Ma a fronte dei molti investimenti per alcune di esse, come il gioiello di Affori, la settecentesca Villa Litta, in cui però c'è molto ancora da fare, altre rimangono sottoutilizzate e sottovalorizzate, (come quelle di viale Zara, Villapizzone, Quarto Oggiaro, per carenza di servizi dovuta soprattutto alla mancanza di personale. Alcune sono state chiuse: la mitica Bergamini ne è un triste esempio. I lavori di ristrutturazione della Sormani vanno avanti a rilento con danni gravissimi per l'utenza. Ma anche quelle che apparentemente funzionavano maggiormente, vedi la niguardense di Via Passerini, dove fino a poco tempo fa si poteva andare anche dopo cena, hanno subito tagli e trasferimenti di personale che ne hanno ridotto l'orario di apertura di ben 15 ore.
E ci chiediamo perché nella zona di Viale Monza, assediata dalla criminalità e dal degrado, non ci sia una biblioteca rionale come misura propositiva di riattivazione della vita civile e baluardo di civiltà. Lo stesso dicasi per la zona Bicocca, area ex-industriale, negli ultimi anni oggetto di una fortunata riqualificazione: milioni di metri quadri destinati all'università, al teatro degli Arcimboldi, appalti edilizi per milioni di euro e non sono stati previsti 900 metri quadri per una biblioteca moderna e funzionale.
Ci chiediamo perché per bacini di utenza simili, i comuni dell'hinterland siano in grado di assicurare ai propri cittadini strutture adeguate e di successo (si pensi alla cinisellese Villa Ghirlanda, ma anche Cologno, Bollate, Sesto fino ai limiti extra-provinciali).
In questi casi, le relative amministrazioni sono state capaci di consorziarsi e offrono da anni un servizio completo che ha inteso rilanciare un'offerta culturale con iniziative collaterali e nuovi investimenti. Molte delle biblioteche rionali di Milano, tranne eccezioni, versano di contro in una condizione di stentata sopravvivenza, arretrando vistosamente sul piano dell'efficienza e della qualità dei servizi. Viene così il dubbio che le amministrazioni milanesi, recenti e presente, non abbiano colto l'importanza decisiva di queste istituzioni. Ad essere più maliziosi poi quel dubbio si trasforma nel sospetto che investimenti su strutture poco visibili e diversificate, che avrebbero una ricaduta positiva sull'intera vita cittadina ma valutabile solo sul medio-lungo periodo, non siano redditizi dal punto di vista politico perché poco interessanti sul piano del ritorno d'immagine e del consenso.
Il paradosso è che laddove, come nei piccoli comuni dell'hinterland, conta di più amministrare per il bene pubblico, si riescono a portare avanti progetti pregevoli. Diversamente, nella metropoli ci si concentra sui pur necessari grandi eventi di risonanza mediatici trascurando però il locale e lasciando a se stesso il territorio rionale. È uno sguardo miope.
Qui non c'entra Roma, dipende solo da Milano: non scarichiamo i barili, meglio caricare gli scaffali.
Fabio Davite
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