A Milano il primato della presenza straniera che tocca ormai il 14% della popolazione residente

Lo stabilisce il Dossier statistico 2009 sull’Immigrazione presentato da Caritas e Fondazione Migrantes. A fine 2008 un residente su 7 non era italiano, per un totale di 181.393 presenze, il 14 per cento della popolazione nazionale. Allargando l’indagine alla provincia, si scopre che nonostante la leggera flessione (-1,1%) rispetto al 2007, quella di Milano supera le 371 mila unità (il 41,1% degli stranieri registrati alle anagrafi lombarde),
La Lombardia si conferma la meta prediletta dagli stranieri in cerca di fortuna; in sette anni le presenze sono triplicate, arrivando a superare le 900 mila unità (23,3%della popolazione straniera residente in Italia).
Non è difficile credere al fatto che la Lombardia sia la regione con il più alto numero di occupati nati all’estero (seicentomila lavoratori, il 15,7% del totale dei lavoratori della regione).
Eppure molti di loro ricevono ancora dai datori di lavoro italiani un trattamento discrimintorio.
Non è incredibile leggere come un minore su quattro a Milano sia figlio di genitori stranieri: la nostra città, con 57.999 alunni stranieri, è al primo posto sia a livello regionale che nazionale.
Eppure per molti cittadini milanesi è difficile da accettare che in alcune classi vi siano più studenti extracomunitari che italiani. La fuga dei milanesi dall’elementare di Via Paravia, frequentata quasi esclusivamente da bambini stranieri, dimostra quanto pregiudizi e diffidenze alberghino ancora nell’immaginario di molti italiani, ma soprattutto quanto resti da fare a livello di amministrazione per costruire percorsi di integrazione che facciano crescere insieme italiani e stranieri.
Pregiudizi e diffidenze alimentati da campagne “esclusioniste” orchestrate magistralmente da una parte politica che governa il paese.
La crociata anti-moschea della Lega a Milano è un esempio; il fatto che il 38,8 per cento degli stranieri residenti nella nostra città sia di fede musulmana, non rappresenta, secondo alcuni, motivo sufficiente perché venga permesso loro di riunirsi in luoghi di preghiera.
Lo stesso vale per i lavoratori e gli studenti, “colpevoli” -nei più beceri degli slogan che tentano di parlare alla pancia e alle paure dei cittadini- di “rubare” agli italiani il posto in fabbrica o in classe.
Giulia Cusumano