Un libro per ricordare e capire che la mafia a Milano esiste e prospera

Si direbbero due assiomi in contraddizione, invece tra le due cose c’è una connessione, anzi, quasi un rapporto di ‘causa-effetto’.
“Molte delle ricchezze prodotte dal tanto decantato ‘modello lombardo’ si basano sulle fortune costruite su giri d’affari dei racket dell’usura, dello sfruttamento della prostituzione, del riciclaggio del denaro sporco”. Appunto: per gettare una luce su una tematica un po’ snobbata e che trova poco spazio tra gli interessi delle forze politiche e delle istituzioni locali, è stato da pochi giorni pubblicato un libro piccolo e ben fatto, Mafie del Nord, di Enzo Dell’Olio (edizioni Punto Rosso), che aiuta a individuare i percorsi che stanno a fondamento delle realtà mafiose in Lombardia.
Il libro, dopo due introduzioni di Alfio Nicotra e Francesco Forgione (Presidente della Commissione parlamentare Antimafia), inizia con un breve excursus storico, utile a comprendere le diverse fasi dello sviluppo del fenomeno mafioso in Lombardia e a Milano: dalle prime presenze all’inizio degli anni ’60, quando Joe Adonis stabilisce un collegamento tra la mafia siciliana e quella americana, alla svolta degli anni’70 con Liggio, definito il primo vero capomafia della città. E giù via fino agli anni ‘80 e all’operazione ‘San Valentino’, passando attraverso l’emergere dei boss locali (Turatello ed Epaminonda), per arrivare all’inchiesta Duomo Connection e a Mani Pulite, che confermeranno le connivenze di parte del mondo politico lombardo con la criminalità organizzata mafiosa, che proprio grazie alla complicità di amministratori locali deve il suo radicamento nel territorio, soprattutto la rete della ‘ndrangheta calabrese, nonostante gli arresti degli anni ’90.
Dell’Olio passa poi ad analizzare la situazione attuale, utilizzando anche il dato significativo degli immobili confiscati e riutilizzati a fini sociali come previsto dalla legge 109/96: nella classifica delle regioni la Lombardia si posizione al quarto posto, mentre al terzo per numero di aziende confiscate.
La parte centrale è invece dedicata ai meccanismi del riciclaggio e alle tre fasi del reimpiego dei capitali illeciti nell’economia legale (accumulazione, trasformazione e ricollocazione dei capitali), e analizza le diverse tipologie di riciclaggio, mettendo in risalto la difficoltà di condurre indagini puntuali date le dimensioni della realtà societaria e finanziaria milanese: 8000mila società finanziarie, 173mila commerciali, 3000 persone fisiche e giuridiche che operano nel mercato ortofrutticolo sono i dati emersi da un primo censimento non ancora terminato.
L’analisi procede poi attraverso i campi privilegiati dalle organizzazioni mafiose: traffico di stupefacenti, usura, estorsioni, ecomafie, fino alle infiltrazioni sospette nel campo della sanità lombarda e al settore edile/immobiliare, attraverso imprenditori di grosso calibro.
Il volumetto termina con alcune considerazioni sulla scarsa sensibilità istituzionale nei confronti del problema, nonostante alcuni reiterati tentativi di tenere in vita un comitato antimafia a Palazzo Marino.
In tempi in cui la parola ‘sicurezza’ è utilizzata da molti come bandiera, è d’obbligo forse riconsiderarne il significato e come scrive Forgione: “Si può guardare la pagliuzza dei lavavetri e alimentare paure e culture securitarie, ma se non si vede la trave della presenza mafiosa...”.
Antiniska Pozzi