Intervista a Francesco Gnecchi Ruscone, in occasione della presentazione del libro "Storie di Architettura"
Quando è nata la sua passione per l'architettura? Tra la fine del ginnasio e l'inizio del liceo, intorno ai 15 anni. Avevo dei modelli in famiglia in questo senso, uno zio, il fratello di mio padre, e un cugino di mia madre che è tuttora un architetto famoso, Luigi Caccia Dominioni. Nel libro a un certo punto dice di appartenere a una generazione pre-CAD. Cosa significa? CAD come molti sanno è un programma per la progettazione architettonica tridimensionale, entrato nell'uso comune a partire dagli anni '90. Esisteva anche prima ma era costosissimo e al di fuori della portata di uno studio come il mio. Le mie prime esperienze con CAD risalgono a un lavoro di Montecarlo insieme a uno studio francese che stava cominciando a usarlo. Con quella frase intendevo che io l'architettura la concepisco con la matita. Per gli studenti di adesso CAD è scontato come le mail invece che le buste col francobollo. Da quello che posso vedere o immaginare credo che la differenza riguardi anche la concezione del progetto perché uno schizzo che si fa in due minuti può contenere anche il seme di un progetto che poi va ampliato ed elaborato. Il CAD richiede invece, prima di poter vedere qualcosa, di lavorarci su per un po' di tempo. Forse c'è una minore disponibilità di prime ipotesi. E' comunque uno strumento utilissimo nella fase del progetto esecutivo. Il progetto di massima, lo schizzo, ha per destinatario fondamentalmente il cliente o l'autorità che deve dare il permesso di costruire, il progetto esecutivo ha invece per destinatario l'impresa che deve costruirlo e i fornitori delle parti che concorrono all'esecuzione del progetto, quindi rispondono fondamentalmente a due esigenze diverse. |
Certamente l'architettura ha a che fare col corpo ma non solo. Ha a che fare con l'immagine che ognuno ha del proprio ambiente,o dell'ambiente che desidera, formatasi dalla sua storia e dalla sua cultura. L'architettura limitata a soddisfare delle esigenze fisiologiche dà risultati molto poveri. Mi viene in mento che questo è stato il difetto del movimento razionalista, che essendo nato come reazione agli arbitrii del decorativismo ed estetismo eccessivo tipici del liberty ha interpretato in modo bigotto l'essenza dell'architettura producendo risultati di uno squallore assoluto. L'estetica non va intesa come arbitrio del progettista, che è in fondo la condanna del culto dell'archiatra, che mette questa sua legittima ricerca estetica a caposaldo fondamentale del suo progetto dimenticando che il progetto ha dei destinatari precisi, in primo luogo il committente che gli paga la parcella e poi tutta la gente della società di cui il nuovo edificio viene a costituire una variazione del panorama. Il mio motto è: l'uomo viene prima delle pietre.
Una delle parti più interessanti e attuali del libro riguarda lo studio di fattibilità eseguito nel 1966 per un grande complesso di residenze complete di servizi a Baggio, periferia occidentale di Milano. Qual è il concept del progetto?
E' stato una sorta di atto di volontariato. Due delle cose che possono essere ancora attuali sono due progetti fatti per dare alla mia società e alla città di Milano una proposta nella speranza che venga ascoltata. Il primo riguarda le famose Cinque Vie, ed ebbe molta eco nella stampa straniera dell'epoca grazie all'esposizione in Triennale di un modellino che era visibile sia dall'alto che dal basso grazie a speciali periscopi. L'altro è appunto quello relativo a Baggio. A metà anni 60 l'espansione della periferia a Milano avveniva per una serie di iniziative individuali: in quell'area c'erano delle cave, che nei progetti originali sarebbero state utilizzate come discariche. Con l'accordo della proprietà dell'area, che avrebbe ceduto il terreno per la realizzazione del progetto, abbiamo pensato (l'altro firmatario del progetto è l'Ing. Guaineri) a un complesso che sarebbe diventato il cuore di tutto lo sviluppo urbanistico di Baggio. Era concepito come un modo per arginare il disordine: una corona di edifici su un sistema di piazze a due livelli sotto cui mettere parcheggi e porticati con servizi commerciali e non solo. A livello paesaggistico forniva anche un riferimento simbolico al paesaggio lombardo Alpi-pianura padana. L'idea fondamentale era che questo diventasse il cuore del quartiere in cui creare una comunità composta da varie fasce sociali, evitando la formazione di ghetti, un'idea analoga a quello che oggi va di moda chiamare "mix abitativo" a cui sempre ci si riferisce quando si parla di housing sociale. Per la realizzazione di un progetto del genere sono necessarie alcune condizioni, tra cui che chi appartiene a fasce di reddito più elevate accetti di vivere a Baggio anziché in centro.
Quindi il "progetto Baggio" ha valore oggi soprattutto come modello.
Sì, può essere interessante soprattutto come approccio di metodo. Per affermare il concetto che il risanamento della periferia non dovrebbe essere basato su interventi cosmetici come i giardinetti più belli o l'istituzione di aree cani. L'insegnamento che ho ricevuto lavorando con Olivetti negli anni '50 sulle aree depresse del Mezzogiorno (che sono beninteso un altro concetto di periferia) è che per realizzare un progetto urbanistico di sviluppo valido bisogna fare prima un progetto di comunità, un insieme di individui, famiglie e istituzioni con una certa varietà di livelli di reddito, e fornirla di tutti i servizi pubblici e privati occorrenti. Ma soprattutto una comunità esiste quando esiste in chi ne fa parte la coscienza di appartenenza e di responsabilità verso quella comunità. Per ottenere questo senso di appartenenza occorre dare un'identità. Serve la vecchia piazza del villaggio, per così dire, un luogo riconoscibile, bisogna che ci sia un'immagine, ed è a questo punto che deve intervenire l'architetto.
"Storie di architettura" delinea nei tratti essenziali la biografia dell’architetto Francesco Gnecchi Ruscone, da annoverare tra i migliori progettisti italiani della seconda metà del Novecento. Il libro offre inoltre interessanti spunti di riflessione sul senso etico dell’agire dell’architetto, che con il proprio lavoro contribuisce all’alterazione di un paesaggio preesistente per definirne uno che consenta un migliore quadro per la vita. E questo è forse il messaggio più prezioso che ci consegna Gnecchi Ruscone: progettare per la società e per trasmettere a chi verrà dopo un patrimonio di esperienza e di bellezza. "Storie di architettura" è un libro che si rivolge ai giovani che pensano di avere la vocazione per l’architettura, agli architetti in attività che non hanno ancora imparato tutti i trucchi del mestiere, a chi è interessato alla storia del Movimento Moderno, a chi vuole sapere cosa accade nella testa di un architetto al tavolo da disegno, ai clienti degli architetti che vogliono capire con chi hanno a che fare e, infine, a chi vuole vaccinarsi contro il culto dell’archistar! Un filo conduttore: gli altri. Per Gnecchi Ruscone l’architettura appartiene per metà a chi la progetta e per metà a chi la vivrà!" - dalla prefazione di Giancarlo Consonni. Intervengono con l'autore: Maria Fratelli, Direttore Centro di Alti studi sulle Arti. Visive - CASVA Adalberto Del Bo, Architetto e Preside Vicario della Facoltà di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni del Politecnico di Milano.
"Storie di architettura" delinea nei tratti essenziali la biografia dell’architetto Francesco Gnecchi Ruscone, da annoverare tra i migliori progettisti italiani della seconda metà del Novecento. Il libro offre inoltre interessanti spunti di riflessione sul senso etico dell’agire dell’architetto, che con il proprio lavoro contribuisce all’alterazione di un paesaggio preesistente per definirne uno che consenta un migliore quadro per la vita. E questo è forse il messaggio più prezioso che ci consegna Gnecchi Ruscone: progettare per la società e per trasmettere a chi verrà dopo un patrimonio di esperienza e di bellezza. "Storie di architettura" è un libro che si rivolge ai giovani che pensano di avere la vocazione per l’architettura, agli architetti in attività che non hanno ancora imparato tutti i trucchi del mestiere, a chi è interessato alla storia del Movimento Moderno, a chi vuole sapere cosa accade nella testa di un architetto al tavolo da disegno, ai clienti degli architetti che vogliono capire con chi hanno a che fare e, infine, a chi vuole vaccinarsi contro il culto dell’archistar! Un filo conduttore: gli altri. Per Gnecchi Ruscone l’architettura appartiene per metà a chi la progetta e per metà a chi la vivrà!" - dalla prefazione di Giancarlo Consonni.
Intervengono con l'autore: Maria Fratelli, Direttore Centro di Alti studi sulle Arti. Visive - CASVA Adalberto Del Bo, Architetto e Preside Vicario della Facoltà di Architettura Urbanistica Ingegneria delle costruzioni del Politecnico di Milano.