Allo Spazio Forma fino a gennaio la mostra di Nino Migliori, una vera e propria antologia della storia della fotografia italiana

Uno dei meriti principali dell'allestimento presso lo Spazio Forma è quello di rendere evidenti le linee di sviluppo unitarie in un'attività così poliforme nella quale il lavoro sulla matericità è un comun denominatore, evidente fin dai primi anni di attività. Ad esempio "Sera d'estate" (1953),"Grandi magazzini" (1953), "Notte bianca" (1955) o "Portatore di pane" (1956), fondono "l'elemento umano" e la materia e anticipano le ricerche dei decenni successivi.
Percorrendo le sale si possono scorrere i periodi durante i quali Migliori lavora in parallelo alle ossidazioni(trattando la carta fotografica con gli agenti chimici utilizzati nello sviluppo e nella stampa ottenendo immagini astratte) e alla serie "Muri" (fotografie di graffi e screpolature su pareti) dove il segno fa erompere la matericità in scatti dal vero senza alcuna "elaborazione" che sembrano però trattati in fase di stampa. A sottolineare quanto siano labili i confini tra generi espressivi.
Confini che saltano del tutto nell'ultima opera esposta, una delle prove più evidenti di questo nesso/commistione tra elemento umano e matericità astratta, tra realismo e sperimentazione simbolica, tra fotografia come coglimento della realtà e creazione dell'immagine:l'esperimento del 1996, in cui Migliori partendo da una delle più celebri foto di "Gente dell'Emilia" (la contadina con bambino) ne "degrada" la leggibilità con quattro progressive ossidazioni, facendone una "semplice" immagine di segni.
Beniamino Piantieri