Fino al 26 aprile allo Spazio Oberdan gli scatti di Robert Capa della campagna alleata nel sud Italia tra il 1943 e il 1944
Ci sono alcuni artisti di cui forse molti non ricordano il nome ma tutti, o quasi, ricordano almeno un'opera. Tra questi c'è sicuramente Robert Capa. Uno dei più grandi fotografi del '900, padre del fotogiornalismo e il cui nome è sinonimo, e non per modo di dire, di reportage di guerra. I suoi scatti della guerra civile spagnola -su tutti la celeberrima "morte del miliaziano"-, dello sbarco in Normandia o della campagna degli alleati nell'Italia meridionale tra l'estate del 1943 e il 1944, non fanno parte soltanto della storia della fotografia, ma sono impresse nella cultura del XX secolo. |
Ciò che maggiormente colpisce nelle immagini, che costituiscono un'immersione nella storia del nostro Paese e nel contempo in quella della fotografia, è anzitutto la sensibilità dello sguardo fotografico di Capa.
I fotogrammi non restituiscono l'orrore della guerra attraverso l'immagine cruda; l'inquadratura non cerca il momento eclatante (cosa che peraltro Capa era in grado di fare assumendosi altissimi rischi per la propria incolumità, tanto da morire dilaniato da una mina nel 1953 mentre seguiva la guerra d'Indocina).
Le immagini costituiscono piuttosto una sorta di collage delle emozioni che Capa è riuscito a cogliere risalendo l'Italia meridionale: c'è la fame e la paura della popolazione civile, la disperazione delle madri che piangono i figli uccisi nei bombardamenti, ma c'è anche l'entusiasmo della folla che accoglie le truppe americane, l'incontro spiazzante tra i vecchi contadini siciliani e i giovani JI che, al loro cospetto sembrano giganti. C'è la fuga dei pastori dal fronte di Montecassino, c'è l'umanità travolta dal conflitto e la speranza che non arretra. C'è anche lo sguardo stupito su un mondo totalmente altro con cui il grande fotografo riesce a raccontare con immagini apparentemente semplici un pezzo di storia.
Beniamino Piantieri