Immigrazione, lavoro, emergenza abitativa, nuove povertà erano già allora sfide che interrogavano una città che si scopriva smarrita.
Molti anni dopo quelle emergenze appaiono dispiegate con un potenziale letteralmente esplosivo all'interno di una città non più scomposta, ma ormai frantumata.
Se il 2001 costituiva lo zenit dell'ideologia che voleva il mercato come unico motore e regolatore della società, a partire dallo stato per scendere ai bisogni di quartiere, un quindicennio dopo siamo immersi nell'ombra dei bisogni che, per troppo tempo ignorati, sono esondati furiosi.
La crisi economica, discesa dal cielo dei numeri nelle strade delle periferie -che sembrano la recente scoperta di tanti mass media- si è fatta moltiplicatore e acceleratore di un disagio sociale che da troppi anni è diventato la quotidianità, non l'emergenza.
Il rischio oggi è quello di confondere effetti e cause, di fermarsi all'analisi delle nuove convergenze tra le frange più dure dell'antagonismo e i disperati che si sottraggono l'un l'altro, con il grimaldello dell'abusivismo, il bene necessario, quanto scarso, di un tetto; quindi di continuare ad ignorare la città non più scomposta, ma ormai frantumata.