Dall’Immigration Day, qualche spunto sul ruolo dei media e le prospettive della settima arte
“In molti, riferendosi ai recenti fatti di cronaca, hanno detto “da noi non sarebbe successo”. Ma questa affermazione è portatrice di una complessità della tematica che va decostruita: ‘noi’ chi siamo? Accettiamo di essere tutti un ‘noi’? E ‘loro’ chi sono?” si chiede Massarotto.
Forse il problema non sono gli immigrati stranieri, ma gli italiani, o almeno quello che pensa la maggioranza di loro, e sembra che si sia arrivati ad un punto in cui il termine immigrato oscilla tra le due accezioni estreme, appunto, di ‘criminale’ o di ‘vittima’: da qui la necessità di lavorare sul concetto di normalità, soprattutto in una città in cui ormai le seconde e terze generazioni di immigrati chiedono spazio, sia a livello sociale che comunicativo.
Qualcuno fa notare che ormai esistono “altri media” che offrono la possibilità di informarsi in maniera più “libera” su quanto accade: basta saper cercare, una considerazione che, tuttavia, non tiene conto di una fascia della popolazione che di fatto non ha accesso a questo tipo di informazione altra (internet etc.). Sono abbastanza efficaci, gli altri media, per cambiare le opinioni della massa? Stando ai fatti, no. O almeno non ancora.
All’interno di queste considerazioni, il Cinema occupa un posto speciale: è più cosmopolita, per le sue ragioni produttive e per la necessità che ha di lavorare sulle emozioni, e in quanto tale è potenzialmente un mezzo di informazione ‘pulito’. Il Cinema non documentario, soprattutto, dato che quello documentario fa molta fatica ad uscire dai circuiti dei festival e a trovare spazio in televisione, quindi ad accedere a porzioni più consistenti di pubblico.
Antiniska Pozzi