Per la prima volta un Sindaco di Milano denuncia chiaramente il livello di infiltrazione mafiosa nel tessuto produttivo della città

Oltre allo stupore, il riflesso condizionato nei confronti dell’allarme lanciato da Giliano Pisapia è stato il consueto tono un po’ sdegnato come a sottintendere il classico retropensiero –invero un po’ razzista– secondo il quale le mafie sono roba del sud: coppola e lupara, faide ed esecuzioni, estorsioni e spaccio tra le vie di Palermo, le forre d’Aspromonte, i palazzoni ciechi di Scampia e l’agro casertano.
L’infiltrazione della ‘ndrangheta nel tessuto economico milanese non è un fenomeno recente, affonda le sue radici in mezzo secolo di storia criminale e gli storici insediamenti nell’hinterland, in Branza e nel Varesotto hanno puntato verso il cuore del capoluogo da tempo.
La zona grigia dove l’enorme mole di capitali sporchi entra in contatto con i circuiti della finanza globale è uno snodo che opera da tempo e non è possibile pensare che, soprattutto in un periodo di crisi economica come quello che stiamo vivendo, l’interesse delle ‘ndrine non si rivolga anche al controllo delle attività commerciali, non solo attraverso investimenti diretti –soprattutto nel campo della ristorazione– ma anche per mezzo dell’estorsione, che oggi assume modalità ben più raffinate del classico “pizzo”.
Bene dunque ha fatto il Sindaco Pisapia a lanciare un allarme che le giunte precedenti hanno troppe volte silenziato e a ribadire l’impegno per la costituzione entro breve di un Commissione consiliare sugli interessi mafiosi in città, anche alla luce delle troppe offerte anomale per eccesso di ribasso giunte per l’assegnazione dei primi appalti dei lavori per l’Expo.