La questione “moschea” torna ad animare il dibattito politico tra proposte di referendum e di leggi censorie

Anche quest’anno i fedeli di Allah residenti nella nostra città hanno partecipato alle celebrazioni per il ramadan un po’ qua un po’ là. Chi in via Padova presso la Casa della Cultura Islamica, chi al centro islamico di viale Jenner, chi nei piccoli spazi ricavati nei condomini e nei garage di via Tolstoj, via Fara, via Carnevali, chi nella scuola araba di via Quaranta e nella palestra di via Cambini. Tutte soluzioni “tampone”, non autorizzate ufficialmente dal Comune, che anche per quest’anno si è limitato a concedere il Palasharp per la preghiera del venerdì e i tendoni del teatro Ciak per i riti del Ramadan. Le posizioni restano le stesse degli anni passati.
La questione rimbalza di anno in anno come una palla avvelenata che sfiora tutti e che nessuno si decide a prendere in mano per paura che si trasformi in una miccia esplosiva, in un boomerang, in una ghigliottina elettorale. Perché c’è sempre un bottino da salvaguardare: le elezioni provinciali prima, le regionali poi, le comunali oggi. Per questo il vice sindaco Riccardo De Corato ora tenta la carta ponziopilatesca del referendum. Decidano i milanesi, se la loro città necessita o meno di una Moschea. La Lega la spara anche più grossa, annunciando di presentare al Pirellone un progetto di legge nazionale per limitare – nella sostanza vietare- la realizzazione di luoghi di culto per i fedeli musulmani.
Ma come? Non si erano fatti passi avanti in Consiglio comunale, ovvero il luogo deputato a decidere a nome della comunità? Non era stato approvato un emendamento al Piano di Governo del Territorio, presentato dalla consigliera Patrizia Quartieri, per l’individuazione di luoghi di culto per tutte le religioni? E ancora prima, nell’ottobre 2009, non si era approvato un ordine del giorno presentato dal centrodestra stesso per la regolamentazione delle moschee, implicando quindi, indirettamente, la possibilità di autorizzarne la costruzione sul territorio milanese? Che fine hanno fatto tutti quei buoni propositi? Al di là della boutade sul referendum (De Corato conosce bene lo scarso appeal di questo strumento elettorale e proprio per questo non esita a gettare l’ennesimo sassolino nello stagno), la verità è che nessuno vuole assumersi la responsabilità di approvare la realizzazione di un luogo di culto ufficiale – non necessariamente una vera e propria moschea- per i musulmani che vivono a Milano e che rappresentano il 38,3 percento della popolazione straniera residente (Dati Caritas, Rapporto Immigrazione 2009). Perché per chi governa questa città concedere spazio al “diverso” è considerato un più che probabile autogol da un punto di vista elettorale. Meglio toglierglielo, piuttosto. Sgomberando sistematicamente i campi rom, ad esempio (ultimo tra i troppi, l’ennesimo smantellamento dell’insediamento di via Rubattino di martedì scorso).
Oppure imponendo il coprifuoco nelle zone in cui il “diverso” non integrato disturba l’integra “normalità” (prima Via Padova, poi Corvetto e Imbonati, poi chissà quali altre zone periferiche della città).
Questa è la strategia miope utilizzata da un’amministrazione che si ostina a non accettare la composizione multietnica della città che governa: rimandare le grandi questioni politicamente scomode, posticipandone la soluzione all’infinito attraverso provvedimenti ed ordinanze temporanei.
Giulia Cusumano