Presentata la campagna del Comune “Immigrazione sana”. Palazzo, però, Marino diagnostica solo spaccio e prostituzione

Lo ha fatto sfogliando e commentando un dossier completo di dati sui flussi migratori, sulle nazionalità più radicate nel nostro territorio e, dulcis in fundo, sulle mappature delle “strade a luci rosse” e della “polvere bianca”.
Che c’entrano lucciole e coca con l’immigrazione sana?
Semplice: ad individuare, almeno secondo l’Assessore, le zone a più alta densità di extracomunitari.
Da fine aprile medici e mediatori culturali gireranno a bordo di un camper tra le zone della città caratterizzate da un “sovradimensionamento della presenza straniera” per promuovere interventi di educazione alla salute igienico-sanitari.
Piuttosto insolito, inoltre, che in conferenza stampa un assessore, invece di presentare rapporti ufficiali del Comune, illustri informazioni pubblicate mesi fa dalla stampa stessa (precisamente dal quotidiano “Il Giorno”) e non si avvalga dei dati di associazioni, come il NAGA ad esempio, che da anni svolgono un’attività di monitoraggio e assistenza sanitaria per gli immigrati.
Altrettanto curioso che la presenza di malattie legate alla prostituzione e allo spaccio venga così esplicitamente e disinvoltamente posta in relazione causa-effetto con la presenza di immigrati nel nostro territorio. Dietro il buon proposito di diffondere consapevolezza e cultura della salute tra gli immigrati, sembra esserci più che altro la volontà di enfatizzare uno stereotipo, quello dello straniero "untore”.
Rafforzare questo luogo comune non solo emana un cattivo odore di pregiudizio, ma anche risulta del tutto inutile a comprendere le dimensioni di un problema reale: le condizioni di vita di molti immigrati, soprattutto per quanto riguarda i clandestini, hanno prodotto una recrudescenza di patologie, come la tubercolosi, che sembravano relegate ormai ad un lontano passato.
Abitare precario, povertà, difficoltà di accesso alla prevenzione medica e all’assistenza di base hanno esposto nel corso degli anni e continuano ad esporre, gli immigrati più indifesi a malattie che poco hanno a che fare con la prostituzioni e lo spaccio, ma molto invece con la povertà e l’abitare nel degrado.
Sembra invece che l’importante, come sempre, sia individuare un capro espiatorio, possibilmente quello “diverso”, per provenienza, cultura, o religione.
Perché in fondo, è più facile, più comodo e più confortante pensare che chi porta il male sia diverso da noi.
Ma il sillogismo “prostituzione-droga-immigrati”, si sa, soprattutto in campagna elettorale “tira”.
Giulia Cusumano