Conversazione con Don Gino Rigoldi
Incontriamo Don Gino Rigoldi nella sede di Comunità Nuova, l'associazione che ha fondato 40 anni orsono e che a Milano è ormai più di un'istituzione, anche se a lui il termine un po' fa sorridere forse un po' lo infastidisce. Lo storico cappellano del Beccaria meno di ventiquattrore prima ha presentato la fondazione che porta il suo nome. Iniziamo proprio da qui e, subito, con la concretezza e la schiettezza abituali, sgombra il campo da ogni solennità. "Ho sempre avuto l'idea che le fondazioni si intitolassero ai morti, ma gli amici che in questi anni mi hanno dato una mano hanno insistito perché creassimo una realtà che desse un orizzonte ancora più ampio a quanto abbiamo fatto in questi anni con Comunità Nuova e 'Bambini in Romania', che sono entrate come membri della fondazione ma rimarranno comunque realtà autonome. |
Don Gino ci tiene a sottolinearlo, ne fa quasi una sola parola "promozione dei diritti", che passerà anzitutto attraverso l'accesso al lavoro.
"Il primo obiettivo è riuscire a far arrivare le risorse di 'garanzia giovani' a quei soggetti che fino ad oggi non sono riusciti ad usufruirne. Il 95% dei ragazzi che hanno avuto accesso a quei fondi sono laureati o diplomati. I soggetti più deboli, i ragazzi delle periferie che hanno interrotto il percorso scolastico e che sono quelli che incontrano maggiori difficoltà di accesso al lavoro ne sono stati quasi del tutto esclusi. E in questo caso le risorse disponibili sono davvero tante e il rischio è quello di non spenderle o che non arrivino a chi ne ha più bisogno."
Tu insisti sul prendersi cura dei ragazzi ancor prima di pensare ad un percorso di formazione al lavoro.
"Abbiamo imparato che i ragazzi si fermano o camminano a seconda degli adulti che incontrano, per questo in questi anni abbiamo lavorato con gli insegnati, soprattutto quelli delle scuole medie inferiori, cercando di trasmettere una cosa sola ma fondamentale: la capacità di relazione. La capacità di vedere, di capire, di prendere sul serio le risorse dei ragazzi. E questo sarà uno degli ambiti su cui lavorerà la Fondazione. La capacità di creare relazione diviene uno strumento fondamentale per includere i ragazzi, soprattutto quelli che hanno i percorsi più difficili. Con gli adolescenti bisogna essere capaci di capire il loro valore, le loro capacità. Altrimenti te li perdi e poi, magari, dai la colpa a loro."
Come iniziare a non perderseli?
"Ci piacerebbe portare a Milano un'esperienza che hanno già realizzato a Torino: la piazza dei mestieri dove gli artigiani presentano la propria attività e dove i ragazzi possono iniziare a incontrare opportunità, avviare dei percorsi, informarsi sulle possibilità che possono cogliere. Ma anche offrire la possibilità ad artigiani che non sanno a chi lasciare la propria attività dopo quaranta, cinquant'anni di lavoro di insegnare il mestiere ad un giovane per cui la fondazione può fare da garante. Continuare con i progetti di housing a canoni accessibili, perché è possibile affittare case dignitose a 300 euro al mese. Lo stiamo già facendo. Continuare a collaborare con gli insegnanti per diffondere una capacità di ascolto che non porti a fermare i processi scolastici nell'età più delicata. Per evitare questa moria scolastica al primo anno delle superiori. Sono tutte cose possibili che intendiamo fare."
Parti dal presupposto che i ragazzi abbiano voglia di impegnarsi, di lavorare. Come la mettiamo con i choosy, e quelli che non avrebbero accettato i posti ad Expo per non rinunciare alle vacanze estive?
"Nella quasi totalità dei casi le proposte che vengono fatte ai ragazzi sono irricevibili, sfruttamento senza retribuzione o quasi e se vengono pagati ricevono i soldi dopo mesi. Su cento borse lavoro che mediamente attiviamo ne vengono assunti uno o due. Bisognerebbe offrire ai ragazzi percorsi di qualità, opportunità in cui si possano realizzare. Si pretende invece che lavorino gratis o quasi senza dare loro alcuna prospettiva. Con questa fondazione vogliamo indicare una strada diversa: offrire ai ragazzi, soprattutto quelli che vengono da storie difficili, possibilità migliori di accesso al lavoro, dignitose e concrete."
Stai dicendo due cose che sono in assoluta controtendenza con il sentire comune, con lo spirito di questi tempi arrabbiati. Anzitutto che bisogna investire di più su chi è più in difficoltà. E poi che in un paese vecchio e spaventato, anche con la fondazione che porta il tuo nome, scommetti sui giovani.
"A me sembrano due cose ovvie e molto realizzabili."