Settanta Rom, di cui oltre la metà bambini, un paese pacifico e troppi silenzi

La sagra del “dagli allo zingaro” è arrivata anche sulle pagine delle cronache nazionali e nei programmi di approfondimento; ma la luce dei media è durata forse meno delle fiamme che poco prima di Natale hanno avvolto il campo. Questa volta la polvere d’umanità ha scelto di infilarsi sotto un tappeto lontano dagli occhi, dalle parti di Parco Lambro. Del resto, come accade per la miseria che fa la fila innanzi alle mense dei poveri o trova rifugio nelle baraccopoli, il problema non è che ci sia ma che è visibile. Tanto che una volta sloggiati, dei settanta rumeni che hanno turbato i sonni e le veglie degli operosi Operesi non se n’è più parlato: via dal campo, via dalle scalette dei telegiornali locali e dalle pagine di cronaca. Forse, anche per l’informazione vige la regola della polvere sotto il tappeto e della povertà che fa scandalo solo se rischia di schizzare la patina opaca della sazietà.
È, come sempre, una questione di sicurezza. Per questo si presidia. Sicurezza, anche dello sguardo, anche della coscienza: è il coronamento di un ventennio di retorica securitaria utilizzata come strumento di governo, di paura adottata come riflesso condizionato del consenso.
FLASHBACK
Chi non comprese tali dinamiche al loro dispiegarsi, rivisto oggi, sembra un fossile di un’altra era.
Primi di maggio 1991, Milano era ancora da bere e gli stranieri, assimilati tutti sotto l’etichetta “extracomunitari” erano circa 50.000, il 4,3% della popolazione residente –oggi sono oltre 162.000, il 12,5% dei residenti–. Prima del terremoto politico dell’anno successivo, sembrava che l’emergenza stranieri fosse in cima alle preoccupazioni dei Milanesi. Il rapido aumento della presenza di immigrati faceva montare la preoccupazione in fasce della popolazione sempre più ampie e ormai esposte all’incertezza di un modello sociale in rapida evoluzione verso la logica del mercato applicata ad ambiti sempre più vasti. In questo orizzonte si saldavano disagio e speculazione politica, dando vita a parole d’ordine che avremmo poi visto all’opera negli anni ’90 tra propaganda, logiche securitarie e gestione politica della paura pubblica. Nei primi giorni del maggio di sedici anni fa si conclude in modo eclatante, tanto da finire sulle cronache nazionale e in tutti i telegiornali, una vicenda che interessava un piccolo spazio incolto tra via Padova e via Palmanova a ridosso di un deposito dell’ATM. Dalle prime settimane dell’anno vi si erano accampati decine di nordafricani. Dopo i primi giorni di stupore, tra alcuni dipendenti dell’ATM che lavorano nel deposito inizia a serpeggiare un certo malumore, dai volantinaggi si passa ad una sorta di picchetto e allo sciopero. Finalmente sabato 11 maggio sul posto arriva l’allora Sindaco Pillitteri, accompagnato da giornalisti e telecamere. L’incontro con alcuni dipendenti dell’ATM scesi in sciopero contro l’insediamento degli extracomunitari diventa un’epica rissa verbale ripresa dalle telecamere. Alla fine il Sindaco urla contro i tranvieri “Fascisti! Razzisti! Siete la vergogna di Milano!”
Rivisto oggi, l’episodio appare surreale nella sua distanza siderale dalla nostra realtà. Anzitutto perchè la stragrande maggioranza dei Sindaci appoggerebbe se non addirittura capeggerebbe una protesta di quel tipo, in secondo luogo perchè nessuno –tanto meno un politico che mira ad essere eletto o rieletto– avrebbe il coraggio di dire pubblicamente quella che è il grumo profondo, la pulsione indicibile che spesso porta a queste manifestazioni: razzismo.
RITORNO AL PRESENTE
A sedici anni di distanza, la mobilitazione di una buona parte dei cittadini di Opera dimostra quanta strada abbia fatto la logica per la quale l’altro –l’irrimediabilmente altro nel caso degli zingari, nonostante dal primo gennaio i cittadini rumeni, anche quelli di etnia rom, siano cittadini