Non solo salute delle donne, ma servizi per genitori separati, homeless e integrazione dei servizi sociali e sanitari: Asl annuncia una riforma dei consultori

“Non ha senso che 46 consultori, 28 pubblici e 18 privati (numeri su Milano e Provincia; solo a Milano città sono 18 pubblici e 16 privati ndr), facciano tutti la stessa cosa. Lo dicono i numeri. Domanda e risposta non coincidono più. Se ogni consultorio segue 240 parti all’anno, ovvero lo 0,6%, c’è qualcosa che non va”, ha detto il numero uno della Asl di Milano.
Il riferimento è al ruolo tradizionale dei consultori, totalmente centrato sulla maternità: i numeri parlano di 31000 prestazioni psicologiche, 60000 sanitarie all’anno, e oltre 12000 parti all’anno seguiti, con un personale non ridotto negli ultimi 4 anni (anche se modificato nell’organizzazione: non più la metà composta da liberi professionisti impegnati per una decina di ore alla settimana, ma un quarto impegnati per il doppio del tempo). Quanto ai costi di funzionamento, quello dei consultori pubblici è di 13.700.000 euro, mentre quello dei 18 accreditati è di 4.493.000 euro.
Numeri che secondo Locatelli e il direttore dell’area sociale Claudio Sileo non giustificano l’esistenza di tante strutture, e che hanno suggerito una “ridefinizione del ruolo” dei consultori.
Nel progetto di riforma “viene chiesta una rete di offerta di posti per homeless post acuti”, ovvero luoghi di accoglienza per i senza dimora appena dimessi dall’ospedale, poi un ruolo per una nuova priorità, i servizi per i genitori separati, e infine per l’integrazione dei servizi sociali e sanitari, con una riorganizzazione del segretariato sociale e il progetto di una nuova sede sperimentale in via Anfossi.
Una rivoluzione che ha fatto alzare le antenne ad alcuni consiglieri presenti, dalla presidente della commissione Pari opportunità Anita Sonego di Fds, a Marilisa d’Amico del Pd e Patrizia Quartieri di Sel, che si è detta molto preoccupata dal fatto che venga snaturato il senso di fondo dei consultori: “Bisogna chiedersi perché la gente, le ragazze, non vanno più nei consultori. Forse molte di loro non sanno neanche che esistono e quali opportunità possono rappresentare in termini non solo di servizi offerti ma di conoscenza di sé”. Già perché a dispetto di quanto riferito da Locatelli sulla presenza di operatori qualificati nelle scuole, la realtà di fatto è che l’educazione sessuale non viene fatta in maniera coordinata ed efficace in tutti i livelli di scuola, magari coinvolgendo anche insegnanti e genitori, e i pochi interventi che vengono proposti sono isolati e non coerenti con un piano di educazione organico.
“Forse bisognerebbe ripartire da una corretta sensibilizzazione e promozione dei consultori” dice ancora Patrizia Quartieri “in ogni caso bisogna interrogarsi su cosa possono rappresentare oggi queste strutture”. E il riferimento è anche a tutta quell’area relativa all’educazione e al sostegno delle donne straniere, che continua a non essere sufficientemente trattata e che meriterebbe maggiori investimenti.
A.Pozzi