Ma se il voto dei cittadini viene ridotto a mera arma di propaganda? La risposta in questo caso non è per nulla scontata.
Il referendum per la cosiddetta autonomia della Lombardia, approvato in Consiglio regionale da un'inedita alleanza lumbard-grillina il 17 febbraio, si profila come la campagna mediatica del Pirellone per il prossimo autunno.
Disquisire sulla rilevanza effettiva di un referendum consultivo congegnato in questo modo varrebbe come pesare la portata politica di uno dei tanti ordini del giorno che vengono votati nelle assemblee elettive della Repubblica, dal Parlamento in giù, e che impegnano il Governo nazionale, come quelli regionali o municipali, né più né meno quanto una petizione.
I Lombardi, infatti, non verranno chiamati ad esprimersi sulla richiesta di statuto speciale, che sarebbe stata immediatamente bocciata dalla Corte costituzionale, come accaduto in passato con analoghe richieste (Sentenza 496/2000), bensì sul comma di una articolo della Costituzione (116, III) che sarà quasi sicuramente cancellato dalla riforma costituzionale portata avanti dal Governo, che peraltro potrebbe sempre impugnare la decisione del Consiglio regionale.
Operazione tutta politica dunque, il cui primo obiettivo è quello di rafforzare la leadership del Presidente Maroni sulla mai troppo compatta maggioranza che governa il Pirellone, ma quello non secondario è di fare del 'Governatùr' lombardo -l'ultimo esponente della vecchia guardia leghista rimasto sulla breccia- il contraltare al sempre più straripante Salvini all'interno di una Lega che ha ormai abbandonato le radici padano-autonomiste in favore di una linea politica tutta giocata sulla contrapposizione Italia/Europa.
Difficile quindi pensare che chi, per anni, ha avuto un ruolo politico chiave a livello nazionale e non ha realizzato l'autonomia della Lombardia creda davvero di poterlo fare oggi con un referendum-spot.
Per prendere atto della contraddizione, però, i Lombardi dovranno spendere 30 milioni di euro.
Beniamino Piantieri