Dopo gli scontri al Parco Cassinis alcune associazioni di immigrati chiedono di essere ascoltate davvero dalle istituzioni

Partono gli spintoni, un vigile viene colpito, un altro isolato, si tenta di liberare il connazionale quando parte un colpo sparato in aria dalla pistola di un vigile accorso nel frattempo. Ci saranno alcuni arresti, due vigili contusi, una donna con una costola rotta. Il resto è compito del giudice.
Una settimana dopo –domenica 8 luglio– il parco è blindato, due pattuglie della Polizia di Stato altre tre di quella Locale a garantire la sicurezza nell'ambito dell'operazione Verde Sicuro. Nel pomeriggio si attende il Vicesindaco, Onorevole Riccardo De Corato, che ha promesso un sopralluogo di verifica. C'è qualche famiglia peruviana con i bambini, sono venuti qui per il pic-nic e per trascorrere all'ombra il caldo pomeriggio della domenica.
Molti sono rimasti a casa. “Siamo al 20% della consueta presenza domenicale” afferma un poliziotto, troppa attenzione sul Parco delle rose, per chi non è regolare è un problema. Ci sono quelli della neonata Rete dei Cittadini di Fatto ( ascolta l'intervista a Edda Pandu), che si propone di coinvolgere di cercare un dialogo che sia prima di tutto interno alla comunità coinvolgendo le numerose associazioni e che poi possa esprimere una sintesi autonoma delle proposte senza la mediazione dei partiti o del sindacato.
Quello di settimana scorsa non è un caso isolato. Negli ultimi tempi Milano è percorsa da tensioni che spesso hanno dato luogo ad episodi di violenza non riducibili alla mera illegalità.
Da Chinatown al Parco Cassinis emerge un disagio ma anche un desiderio di protagonismo politico forse ancora informe ma certo cosciente e in cerca di risposte più utili sia agli immigrati che alla città di quegli organismi pararappresentativi, vuoti e inutili che vanno sotto il nome di consulte.
A fronte di questa novità offerta dal panorama socio-politico meneghino se non possono essere tollerate “zone franche” non possono essere sottovalutate nemmeno le profonde trasformazioni della compagine immigrata che ormai non può –data la sua indiscutibile rilevanza, se non altro numerica – essere ridotta alternativamente a docile manodopera o utile fantasma per le campagne securitarie.
È certo inoltre che urge una riflessione e l'acquisizione da parte del mondo politico di una nuova consapevolezza circa la presenza, il ruolo, gli stili di vita, le esigenze e le difficoltà di una popolazione immigrata sempre crescente e che fa parte ormai del tessuto sociale della città se non del Paese.
Molti di coloro che ci ostiniamo a chiamare immigrati sono cittadini a tutti gli effetti e spesso, per partecipazione e senso della comunità, anche più consapevoli degli autoctoni. Sempre più sono quelli che ormai sono qui da oltre un decennio oppure quelli, come si dice in gergo sociologico, di seconda generazione, cioè coloro che qui sono nati o sono arrivati bambini a seguito dei genitori e che qui sono cresciuti. Parlano bene l'italiano e hanno avuto la possibilità di accedere a un'istruzione completa, ricoprono ruoli di responsabilità nelle varie attività produttive in cui si sono impiegati e hanno una profonda consapevolezza della propria storia, del proprio percorso e fortunatamente manifestano un forte senso di solidarietà verso i nuovi arrivati e tutti coloro che vivono i disagi dell'essere immigrati oggi in Italia; dei loro connazionali comprendono difficoltà e debolezze, sono pronti a farsene interpreti senza ammettere strumentalizzazioni.
Forse è ancora presto ma le istanze connesse alla presenza immigrata emergeranno via via con maggiore contraddizione: quelle sociali sono già sotto gli occhi di chiunque voglia vederle, ma presto saranno istanze anche politiche rivendicate in prima persona.
Fabio Davite e Beniamino Piantieri