Ritmi urbani e qualità della vita: un convegno per (ri)parlare di politiche pubbliche e tempi della città

La città dei tempi flessibili è infatti il contesto in cui si annidano le nuove disuguaglianze sociali e dove è sempre più difficile tenere separati i tempi del lavoro da quelli del ‘leasure’, complice spesso anche l’arma a doppio taglio della tecnologia: il fatto di poter lavorare senza essere legati a un luogo e ad uno spazio preciso contribuisce a rendere labili i confini tra due momenti diversi della vita quotidiana.
I tempi flessibili sono anche conseguenza della dinamicità dei flussi della popolazione, per cui la mobilità risulta frammentata, costituita da una molteplicità di spostamenti che incrociano il tempo del lavoro con quello dedicato alla gestione familiare e al tempo libero, una molteplicità di cui risente specialmente la componente femminile della popolazione: le donne tendono ad usare il tempo in maniera sincronica rispetto agli uomini, e sono più gravate di incarichi relativi alla famiglia. A questo stato di cose, tuttora in divenire, non risponde un’adeguata attenzione della città come insieme di politiche sociali e territoriali: in poche parole, la città non è attenta alla crescente flessibilità dei bisogni.
Ne consegue l’importanza di trasformare le riflessioni e le analisi in politica attiva, organizzando lo spazio, i servizi, i tempi urbani: “È necessario studiare tutti gli eventuali margini della mobilità urbana per realizzare un piano regolatore perchè le persone non passino troppo tempo negli spostamenti o nelle attese agli sportelli” dice la Senatrice del Pd, Marilena Adamo. Soprattutto in vista dell’Expo 2015, un avvenimento che inciderà sul territorio e sul modo di viverlo dei milanesi, e che impone forse un ripensamento della città in termini di ‘sistema urbano’.
I dati raccolti da numerose ricerche sulle dinamiche territoriali mostrano infatti un progressivo slabbramento dei confini predefiniti della città. “Ciò significa” spiega Sandra Bonfiglioli del Politecnico di Milano “che c’è tutta una fascia di persone che si rivelano altamente mobili e utilizzano certe aree della città in modo competitivo, in base a esigenze lavorative o di utilizzo del tempo libero, il che comporta la necessità di politiche multiscalari che tengano conto di questo diverso modo di abitare lo spazio”. Significa ripensare ad un nuovo concetto di città come ‘civiltà urbana’, non più quella racchiusa entro le mura, non più quella in cui il tempo urbano è l’estensione del tempo della fabbrica, ma quella in cui il tempo e lo spazio acquistano multidimensionalità nell’uso quotidiano che ne fanno i cittadini.
La legge Turco (53/2000) sulla conciliazione del tempo lavorativo e della vita privata “chiedeva di favorire il risparmio del tempo dei cittadini”, spiega ancora. “Ora il comune di Milano, che era stato all'avanguardia, è un po’ mancato”. Proprio per questo l’opposizione ha presentato, lo scorso 17 aprile, una mozione a riguardo, per richiamare l’attenzione su questi temi: “Milano ha un piano degli orari e dei tempi che risale al ‘92. La mozione è stata approvata, ma Croci ha già dichiarato che non ci sono i fondi necessari per intervenire” riferisce la Zajczyk, sottolineando la necessità di aumentare i servizi e distribuirli sul territorio, rendendoli accessibili e fruibili a tutti i tipi di popolazioni anche dal punto di vista degli orari: “bisogna adottare sperimentazioni che considerino il cambiamento soprattutto degli orari di alcuni servizi, penso alle banche, agli asili, alla sanità, alle poste”. Politiche temporali, insomma: con lo scopo ultimo di migliorare la qualità della vita individuale dei cittadini e di una popolazione urbana sempre più composita.