La Comunità di Sant’Egidio lancia l’allarme: la città rischia di inaridirsi e perdere lo spirito di accoglienza e solidarietà

da “La terra desolata”, di T.S. Eliot
Milano, Mediolanum. Città di mezzo, crocevia di culture, luogo d’incontro, avvicinamento, mescolanza. La metropoli più multietnica del Paese, capace di accogliere e integrare, includere le diversità e sospendere il pregiudizio. Esiste ancora la“capitale morale” esaltata anni fa da Giorgio Rumi? Se n’è discusso lunedì 6 luglio nel corso del dibattito “Milano: la città, il mondo”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.
Davvero il senso di giustizia e legalità devono sempre e comunque precedere la solidarietà verso i più deboli?
Domanda spinosa, forse provocatoria, posta dal Capo Rabbino di Milano Alfonso Arbib: “In ebraico usiamo la parola hesed per indicare un tipo di solidarietà che va aldilà del bene e del male, che richiede la capacità di comprendere e immedesimarsi con i bisogni dell’altro, che presuppone un avvicinamento intimo alla diversità. Perché la diversità c’è e non va mai negata. Va piuttosto compresa”.
La storia dimostra come diversità e dialogo abbiano sempre trovato terreno fertile sotto la Madonnina. Meta di meridionali, poi di stranieri pronti a cambiare le proprie sorti fin dal dopoguerra, Milano ha conservato il primato in termini di melting pot, di mescolamento culturale, religioso e sociale.
Oggi più che mai però, la città rischia di scivolare nell’imbarbarimento e nella chiusura, atteggiamenti sempre più scopertamente legittimati da consistenti parti politiche che governano il nostro Paese.
E’ proprio la predicazione della paura verso il “diverso” a minacciare con prepotenza la capacità ricettiva ed inclusiva della città.
“I problemi legati all’immigrazione non si risolvono ritirandosi, ma misurandosi con la realtà –ha detto Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio ( ascolta intervista)– La paura porta al disprezzo, a relazioni incontrollate, genera ulteriore paura”.
Don Colmegna ( ascolta intervista) stigmatizza senza mezzi termini il clima di perenne campagna elettorale alimentato da alcuni politici e confida nella coscienziosità della società civile: “Milano deve diventare una città inquieta, che si fa domande, che riflette prima di dare delle risposte. Deve incuriosirsi verso la diversità non chiudersi, interrogarsi, non ignorare”.
La gloriosa terra di conquiste, generosa portatrice di speranze e solidarietà, rischia di diventare una terra infeconda dove a prevalere saranno l’aridità dei sentimenti, l’individualità, la sterilità del pensiero, la siccità delle coscienze.
Una “terra desolata” insomma, come quella descritta un secolo fa da Thomas Eliot.
G.C.