La nuova città metropolitana avrà bisogno di competenze reali per affronatre le sfide di un territorio complesso

Da un anno, per passare all'emergenza profughi, Palazzo Marino chiede un intervento concreto del Ministero degli interni e che il Governo si faccia promotore in sede europea della revisione della più recente normativa comunitaria sul diritto d'asilo che vincola i richiedenti a rimanere nel paese del'Unione dove sono sbarcati. Negli ultimi dodici mesi dal Viminale sono arrivate vaghe promesse mentre la timida richiesta presentata all'ultimo vertice europeo dal Governo italiano di rivedere la più recente versione della Convenzione di Dublino è stata accolta da un fermissimo "nein" degno della domanda di sforamento dei fatidici parametri di Maastricht.
L'acqua alta tra Niguarda e viale Zara non è una novità degli ultimi anni -le foto in bianco e nero dei canotti utilizzati per attraversare via Fulvio Testi nelle "alluvioni" degli anni '50 e '60 sono lì a testimoniarlo- e al netto delle polemiche strumentali di questi giorni, Milano è vittima dei veti degli altri comuni -a partire da quello di Senago che si oppone alla costruzione delle vasche di laminazione- e del rimpallo di responsabilità tra gli enti locali, in primis la Provincia che ha impiegato più di quattro anni ad approvare il progetto esecutivo del nuovo canale per far defluire le piene.
Emergenza profughi, proliferazione delle sale scommesse, esondazione del Seveso non hanno alcun nesso di causalità reciproca, eppure sono tre facce del medesimo problema: la mancanza dei poteri necessari a gestire un organismo delicatissimo e complesso qual'è una città.
L'istituzione della città metropolitana che sta muovendo i primi passi può essere l'occasione, forse irripetibile, per ridisegnare non solo i confini amministrativi e dare un nome nuovo alle cariche, ma soprattutto per aprire un processo vero di devoluzione di poteri nella gestione di capitoli importantissimi, dalla messa in sicurezza del territorio al governo delle emergenze umanitarie.