Deludente la mostra sulla più importante rivista fotografica del ‘900 allestita al Palazzo della Ragione

Si tratta in realtà dell’esposizione dei numeri dei cinquanta pubblicati nei quattordici anni di vita della rivista.
Sotto teche di plexiglas i fascicoli di quella che è una delle poche collezioni complete al mondo –forse è questo l’unico punto d’interesse della mostra ospitata a Palazzo della Ragione– sembrano aperti su pagine scelte un po’ a caso.
Sfugge il filo logico, nonchè filologico, di un percorso scarno, senza spiegazioni che rendano conto di scelte che sembrano essere giustapposte piuttosto che indicare una linea precisa capace di evidenziare il percorso estetico e la pluralità di influenze che “Camera Work” ha avuto sulla fotografia del XX secolo.
Al di là di una breve introduzione e delle biografie dei principali fotografi pubblicati dalla creatura di Stieglitz, nulla se non i fascicoli sotto vetro.
È una mostra su una rivista, si dirà, e non su un fotografo. Ma in questo caso sarebbe stato ancor più necessario un impianto critico e didascalico degno di questo nome, insieme a rimandi necessari a stampe, almeno di medio formato, capaci di far comprendere il percorso e l’importanza di “Camera Work” nella cultura del ‘900.
Non sarebbe stato difficile scegliere almeno un paio di nomi ed esporre le stampe più rapprersentative. Almeno qualche immagine di Paul Strand, colui che in qualche modo ha fondato il reportage urbano. Certo sarebbe stata una scelta costosa, si sarebbero dovuti acquistare diritti, magari ristampare a grande formato alcuni scatti che hanno fatto la storia.
Si è scelta invece una via più economica, ma che suona quasi blasfema a fronte di chi ha fondato la moderna fotografia analogica: in una saletta al margine della mostra vengono proiettate su uno schermo LCD alcune foto pubblicate da “Camera Work”.
In tempi di passione fotografica che non tramonta e di riscoperta della pellicola, davvero un’occasione sprecata.
Beniamino Piantieri