Il problema non sono solo una proprietà vorace e medici senza scrupoli, ma anche i limiti e i rischi di struttura progettata male e cresciuta peggio

Il futuro della cosiddetta “clinica degli orrori”, a quanto ci risulta, non dovrà però passare soltanto attraverso un lavacro penal-amministrativo. Infatti esistono problemi strutturali che sono figli della spericolata politica di ampliamento attuata tra il 2002 e il 2006, voluta dal proprietario della clinica, il Notaio Pipitone; politica sostenuta dalla Regione e avallata dal Comune.
Ascolta l'audio integrale dell'audizione dell'Assessore regionale alla sanità, Luciano Bresciani, alla seduta della Commissione comunale salute del 16 giugno
Infatti, nonostante quanto sostenuto dall’Assessore regionale alla sanità, Bresciani (scarica il pdf), anche di fronte alla Commissione salute del Consiglio comunale circa l’efficacia dei controlli amministrativi del Pirellone, i problemi rimangono e si esendono fin nelle fondamenta dell’edificio che è cresciuto a dismisura tra le vie Catalani e Jommelli.
Le norme che regolano l’architettura e la costruzione delle strutture sanitarie –il DPR 14 gennaio 1997, il Decreto Ministeriale 10 marzo 1998 (sicurezza antincendio) e la Circolare del Ministero della Sanità del 1989– alla Santa Rita sono state applicate con una certa elasticità.
Infatti, sarebbe vietato adibire al lavoro locali chiusi sotterranei e seminterrati (sono possibili eccezioni, ma non tante da diventare invece la regola), eppure le sale operatorie della Santa Rita sono in locali chiusi nel primo piano sotterraneo e il reparto di emodinamica è situato nel secondo sotterraneo.
Questo tra l'altro è il presupposto per una strage in caso di incendio: tutti i pazienti immobilizzati o con difficoltà di movimento si trovano infatti sottoterra.
Le zone di preparazione e di risveglio delle sale operatorie sarebbero poi inadeguate. Per la “zona di preparazione” agli interventi chirurgici è prevista un letto per ogni sala operatoria. Nella Santa Rita dovrebbero esserci otto letti, uno per sala operatoria. Non ci sono.
La “zona risveglio” dovrebbe avere anch’essa un letto per ogni sala operatoria. Anche qui dovrebbero esserci otto letti che non ci sono. Inoltre, i pochi letti presenti sono sparpagliati in varie camerette, rendendo più difficile il controllo costante delle condizioni dei pazienti operati o da operare.
I corridoi dovrebbero essere larghi almeno due metri, ma i corridoi delle sale operatorie della Santa Rita non corrispondono a questo requisito.
I percorsi dello ‘sporco’ (materiale e personale non sterile) e del ‘pulito’ (materiale e personale sterile) devono essere separati. Rispetto a quanto approvato dal Comune il progetto è stato migliorato, ma i percorsi non sono perfettamente separati e si sovrappongono in almeno un tratto.
Infine le sale operatorie adibite a chirurgia generale dovrebbero avere una superficie minima di 36 metri quadri (secondo quanto stabilito dal DPR 27/6/86 e dal DM 5/8/87), ma solo una sala operatoria della Santa Rita corrisponde a queste dimensioni minime, e può quindi essere adibita a chirurgia generale.
Al di là del clamore suscitato dagli episodi più drammatici emersi dall’inchiesta della magistratura questi dati sono un nuovo tassello che mette in luce sia il vizio d’origine della Santa Rita che le responsabilità di Comune e Regione.
Palazzo Marino ha autorizzato un ampliamento nonostante le numerose segnalazioni e denunce che alla Santa Rita le norme di sicurezza erano quanto meno forzate. La Regione è intervenuta solo con i controlli amministrativi sui rimborsi del sistema dei DRG. E, a proposito di controlli, anche i tanto sbandierati esami della Joint Commission statunitense, chiamata dal Presidente Formigoni a certificare la presunta eccellenza della sanità lombarda, si sono rivelati tutt’altro che una garanzia. Non per demerito dell’ente di certificazione, ma perché il Pirellone come aveva commissionato un controllo ‘basic’ su un numero minimo di parametri che, per altro, non comprendevano le prestazioni dei medici.
Intanto la Santa Rita cresceva, operava e prosperava. Diventando una struttura “parapubblica”. Infatti, se nel 1995 –come risulta dall’allegato alla Delibera regionale 778 dell’1 agosto 1995– il 71,4% dell’attività (allora calcolata sui posti letto, in quanto erano rimborsati i giorni di degenza e non le prestazioni) era in convenzione. Nel 2007 oltre il 90% del fatturato della Santa Rita derivava dai rimborsi della Regione.
Ettore Pareti