La città come una tavola imbandita per gli interessi privati e la politica a far da maggiordomo nel libro “La peste di Milano”

Milano è una quinta, un fondale per patti di potere che vanno dall’edilizia alla sanità, dalle infrastrutture ai servizi, con il pubblico che da tempo ha rinunciato ad un ruolo di guida e programmazione, ma sembra sempre più un maggiordomo che si limita ad imbandire la tavola dove altri banchetteranno.
Così Alfieri passa in rassegna il self service urbanistico apparecchiato dal Comune negli ultimi anni, Malpensa ridotta ad aeroporto di provincia da quel governo del nord i cui esponenti durante la campagna elettorale del 2008 fecero le barricate per difenderne la dimensione di hub internazionale, la mesta parabola dell’Expo dal trionfo di Parigi alle risse dell’ultimo anno, l’assenza di politiche di integrazione per gli immigrati che ormai costituiscono una forza indispensabile per l’economia milanese.
Comun denominatore: gli interessi privati che dominano nell’assenza della politica. Quella politica che invece nell’immediato dopoguerra e negli anni ’60 seppe disegnare il futuro, programmare lo sviluppo della città, accogliere oltre mezzo milione di immigrati costruendo, come ricorda Alfieri, “solo tra il ‘62 e il ’65 34.000 alloggi”, 43 scuole in un solo anno, 12 mercati rionali e 40 farmacie comunali fuori dalle mura spagnole.
B.P.