Da un’indagine della Cgil emergono discriminazioni e disparità di trattamento nei luoghi di lavoro per gli stranieri

Stipendi più bassi, ritmi faticosi, minori possibilità di crescita professionale.
Emerge da un’indagine condotta dalla Cgil in collaborazione con l’Osservaorio sull’immigrazione dell’Ires finalizzata ad analizzare la percezione delle discriminazioni subite dagli immigrati in sede lavorativa.
A 200 persone, di cui il 57,1% di origine straniera, è stato sottoposto un questionario relativo alle condizioni d’impiego e al rapporto tra cittadinanza, relazioni interpersonali e trattamento contrattuale.
Nonostante il 72,8% degli stranieri intervistati sia in possesso di un contratto a tempo indeterminato e il 28,6% abbia almeno un diploma di scuola superiore (ben il 10,4% è laureato, ma spesso a causa dei lunghi iter burocratici l’attestato non viene riconosciuto nel nostro paese), la busta paga segna in media un -20% rispetto a quella dei colleghi italiani (1.320 euro contro i 1.048 euro).
Sanno bene gli stranieri quanto il passaporto italiano renda la vita più semplice sotto ogni punto di vista e considerano questo l’elemento più importante per essere apprezzati in luogo di lavoro.
Anche sulle risposte degli autoctoni emergono dati interessanti. Per il 47% l’immigrazione rappresenta una risorsa e la società multietnica garantisce un incontro di culture che arricchisce entrambe le parti.
Un dato che conforta e smentisce quello che ormai troppi governanti di questo paese cercano più o meno apertamente di avvalorare, cioè che l’immigrazione più che una risorsa rappresenti un problema di difficile gestione, quando non addirittura fonte di “contaminazione” culturale, da mettere “in quarantena” o in scompartimenti separati in metrò.
La nostra Regione è quella a più alta presenza di immigrati regolari. Nell’ultimo anno si è passati da 815.335 unità a 893.443, ovvero il 9,2% della popolazione totale. Nel Comune di Milano il dato sale al 14,6% (188.980 presenze), di provenienza soprattutto dall’Europa dell’est e il Nord Africa.
Il fatto che gli stranieri intervistati percepiscano comportamenti discriminatori ed iniqui da parte dei loro datori di lavoro ma non da parte dei propri colleghi italiani, è la prova di come la società multietnica sia già una realtà consolidata e condivisa da gran parte della popolazione italiana.
La vera sfida è quella di eliminare l’assioma “immigrato uguale minori diritti” all’interno delle aziende e delle imprese.
Lo dimostra anche la percezione tra i motivi per cui un’impresa decide di assumere personale immigrato. Se la maggioranza degli italiani sostiene che il fenomeno sia legato alla difficoltà nel reperimento di manodopera italiana, per il 40,9% degli stranieri è la loro maggior flessibilità e adattabilità a vincere sulla carta.
Le risposte degli uni e degli altri dimostrano come lo straniero sia ancora visto come la “carta jolly” giocata dalle imprese per generare profitto, non come una risorsa di arricchimento professionale.
“Le discriminazioni sono superabili, il sindacato dovrà avere maggiore attenzione, ricevere al suo interno più delegati stranieri capaci di interloquire con i lavoratori.” ha spiegato Onorio Rosati, segretario CGIL.
Non basteranno però controlli più rigidi e maggior consapevolezza dei propri diritti da parte degli immigrati.
Quello che manca ancora in molte aziende ed imprese nel nostro paese, come dimostra la grandissima quantità di lavoratori in nero lasciati troppo spesso senza tutele, è il riconoscimento a livello culturale dell’uguaglianza tra italiani e stranieri.
Solo con una correzione decisa da parte delle istituzioni sulle politiche integrative sarebbe possibile convertire questa tendenza, cosa che al momento, sembra tutt’altro che prioritaria.
Giulia Cusumano