Nasce a Milano il primo festival della Letteratura, con molti appuntamenti e moltissimi dubbi

Questo già costituisce un elemento discutibile, che potrebbe essere una virtù ma non necessariamente, perché ogni grande evento che contempli al suo interno appuntamenti anche di diversissima natura deve avere un’identità definita, qualcosa che lo renda riconoscibile e chiaro nella percezione del pubblico, qualcosa che lo renda unico e distinto rispetto a eventi ascrivibili al medesimo campo. E’ chiaro che un’identità definita non sboccia dal nulla, e che molti grandi eventi o festival l’hanno acquisita o precisata nel corso degli anni e delle edizioni, ma questo fa parte di un processo di crescita che parte da piccole e poche cose possibilmente ben fatte.
In questo primo festival della letteratura di Milano di cose ce ne sono troppe, troppo diverse e non tutte dello stesso livello e della stessa qualità, come se il principio ispiratore fosse stato l’accumulazione, l’ansia di offrire tanto e ovunque, senza preoccuparsi troppo del cosa, del chi.
Il Festival è stato messo in piedi col contributo di oltre 200 volontari e nessun contributo economico da parte delle Istituzioni, rappresentate dagli assessorati alla Cultura e alle Politiche Sociali.
L’assessore alle Politiche Sociali, fresco dell’esperienza del festival RiGenerazioni, ha messo l’accento sul fatto che iniziative come questa “producono coesione politica e sociale, da accompagnare con politiche di sviluppo con un approccio simile di valorizzazione delle differenze”.
Già perché, come ha sottolineato anche l’ideatore Fernandez “nel programma tanti sono gli appuntamenti con autori con il cognome ‘diverso’, straniero, anche se milanesi, perchè dopo i bombardamenti ideologici aberranti del passato, la città deve tornare un laboratorio di convivenza umana all’aria aperta”. Parole sante, condivisibili e condivise, ma qui staremmo parlando di letteratura.
Ha senso raccogliere tanti eventi che sarebbero probabilmente stati realizzati anche senza festival, inglobare presentazioni o rassegne già preesistenti e identitarie, ha senso non prendere nemmeno in considerazione l’eredità di Officina Italia (ciò che più si avvicinava a un Festival della letteratura a Milano e che è stato chiuso), per la semplice voglia di tappare un buco che, per quanto possa apparire un’anomalia, ha certamente delle ragioni che meritano di essere indagate prima di allestire una manifestazione a caso? Ha senso fare un festival della letteratura a Milano che contenga al suo interno una mostra sulle Regine d’Africa e neanche, tanto per dire, un appuntamento su come si sta evolvendo la letteratura nel digitale, sugli sviluppi dell’editoria, sulle piccole case editrici milanesi?
Se può funzionare, almeno in via sperimentale, una manifestazione realizzata a costo zero, senza alcun investimento da parte delle istituzioni, può farlo con certe premesse che in questo caso non sembrano esserci.
Senza negare il valore dello spontaneismo, della partecipazione entusiastica di tante diversificate realtà cittadine, dell’energia diffusa, e dei processi di innovazione che nascono dal basso, forse Milano si merita un festival della letteratura che sia più di un “punto di coagulo per le tante culture presenti”, un festival della letteratura in cui protagonista sia appunto la letteratura e non tutto quello che ci sta intorno.
A.Pozzi