Ha preso ormai corpo l’ultramoderno Maciachini Center, ma dall’altro lato della strada è tutta un’altra città

E’ il Maciachini Center, un progetto tutto privato (a cui il Comune ha solo dato il via libera) firmato dallo studio tedesco Sauerbruch & Hutton e commissionato alla società Europa Risorse.
Fino a pochi anni fa, l’intera area era occupata dallo storico complesso Carlo Erba, una delle maggiori industrie mondiali per la produzione di farmaci e reagenti chimici, nato alla fine dell’Ottocento e sviluppatosi fino a occupare un’area di circa 100.000 mq che con la crisi industriale degli anni settanta è stato progressivamente dismesso fino alla chiusura definitiva nel 1998.
L’obiettivo era la riconversione di un’area industriale dismessa e contemporaneamente anche di una riqualificazione urbana, praticamente una delle cose fondamentali di cui dovrebbe occuparsi un’amministrazione comunale.
Sarà pronto nell’autunno del 2010, ma alcuni edifici sono già in attività: quello della Zurich, ad esempio, mentre i nomi di altre società già campeggiano su alcuni palazzi (Sorin, Montblanc, etc) e già sono aperti al pubblico Spizzico, Ciao & company.
Così, mentre da un lato della strada sorgono enormi edifici dalle facciate composte di vetri serigrafati in trenta colorazioni diverse e brise soleil apribili elettronicamente per rompere l’incidenza diretta dei raggi solari, mentre prende forma un complesso fondato su principi architettonici che tentano di “ricostruire l’isolato urbano portando la città dentro la costruzione, e non viceversa”, dall’altro lato della strada avviene un altro tipo di trasformazione, in fase molto meno avanzata e probabilmente anche meno visibile, al livello della composizione sociale.
E i residenti se ne accorgono, e si fanno domande: su diversi forum le opinioni al riguardo sono discordanti. C’è chi vede di buon occhio un progetto come il Maciachini center, e chi si lamenta della mancanza di integrazione di quest’ultimo con il quartiere circostante, chi dice che sta cambiando il volto del quartiere senza snaturarlo e chi si lamenta perché gli immigrati non ristrutturano le case circostanti.
Il tutto porta ad una domanda fondamentale: è possibile una riqualificazione urbana solo a partire dall’aspetto urbanistico? E’ sufficiente riconvertire un’area dimessa in edifici e servizi senza tenere in conto la componente umana, sociale e culturale? O forse un progetto come quello del Maciachini Center può fare da traino all’integrazione e contribuire alla progressiva diminuzione del degrado?
L’unica cosa che per ora sembra evidente a tutti, è ancora una volta, la latitanza delle istituzioni nei processi di cambiamento del territorio e la mancanza totale di una programmazione della crescita.
Antiniska Pozzi