Due casi che raccontano una città, e un Paese, incapaci di guardare al futuro

I numeri delle tendenze demografiche e l’importanza dell’immigrazione per l’economia e per il sistema previdenziale sono sotto gli occhi di tutti, inutile ricordarli.
Piuttosto che al futuro, buona parte della classe politica nazionale e locale sembra capace di pensare solo al presente, al massimo alla prossima scadenza elettorale.
Pertanto piuttosto che costruire le basi di una comunità capace di accogliere e costruire una cittadinanza plurale, si guarda all’unico orizzonte è quello di un guadagno immediato, economico attraverso un’immigrazione dequalificata, politico attraverso rabberciate mitopoiesi di purezze territoriali in realtà mai esistite. Si dà così spazio ad ambiti di separatezza assai rischiosi.
Così capita che a Milano in un anno non si riesca a trovare lo spazio per una moschea e che uno dei più brillanti giovani matematici del mondo, l’indiano Vikas Kumar, a causa delle lungaggini burocratiche per il rinnovo del permesso di soggiorno sia costretto a lasciare l’Università Bocconi.
Cosa c’entra la moschea con Vikas Kumar? Molto, poiche sono le due facce di una moneta che sembra aver corso solo in un Paese capace di far polemica sull’inno nazionale mentre le altre nazioni costruiscono il proprio vantaggio competitivo sull’integrazione e sulla circolazione delle capacità e delle intelligenze.
Oltre le Alpi e al di là dell’Oceano si costruisce il futuro, nella piana del Po si vagheggia di un passato fatto di purezza etnica delle vallate alpine, che in realtà non c’è mai stato.